
L'ultima evasione di Graziano Mesina è stata quella definitiva. Nessuno certamente potrà riacchiapparlo, stavolta. Gratzianeddu, il più temuto bandito sardo, è uscito dal carcere di Opera, dove era recluso da quasi tre anni, per morire poche ore dopo nel reparto di polizia penitenziaria dell'ospedale San Paolo di Milano. Sognava di morire nella sua Sardegna ma non ne ha avuto il tempo. Considerato ancora una minaccia malgrado gli 83 anni compiuti qualche giorno fa e un male incurabile che gli aveva perquisito tutto il corpo rendendolo un condannato a morte, la giustizia lo ha voluto tenere in cella fino all'ultimo. Una vendetta dello stato contro l'uomo che lo stato stesso aveva beffato decine di volte, l'estremo sberleffo del bandito più bandito che c'è, morto da nemico pubblico numero uno in carica.
Che brutta morte, per Gratzianeddu, ma che vita, la sua, una vita da film, anche se con 45 anni a vedere il cielo a scacchi. Decimo di undici figli di un pastore di Orgosolo, finisce in manette a 14 anni per la prima volta per porto d'armi abusivo, ma già a nove anni, per dire, aveva preso a pietrate il suo maestro. La sua prima evasione nel 1960, quando ha 18 anni: forza la camera di sicurezza della caserma dei Carabinieri dove è finito per aver sparato ai lampioni di Orgosolo. È l'inizio della sua carriera di Houdini di qualsiasi carcere in cui finisce, balzi di metri, arrampicate su tubi, buche scavate con il cucchiaio, salti da treni in corsa, manette di burro, finte pazzie per finire nei più giocabili reparti psichiatria. A un certo punto la sua diventa una sfida personale contro le forze dell'ordine, che un po' lo temono e molto lo ammirano.
La sua evasione più celebre risale al 1966: l'11 settembre lui e il compagno di prigionia Miguel Atienza, uno spagnolo che aveva disertato la Legione Straniera, scalano il muro alto sette metri del carcere di Sassari, saltano giù non si sa come e si ritrovano nel pieno dello struscio domenicale. Prendono un taxi. Ciao a tutti.
Mesina fonda la spa dei rapimenti, l'anonima sequestri, apre l'hotel Supramonte. Cattura industrialotti, proprietari terrieri, professionisti, li rilascia per soldi, tanti. Qualcuno vede in lui il Robin Hood della Barbagia, spietato con i ricchi e compassionevole con i poveri, e anche per questo diventa il simbolo della Sardegna che graffia il potere che l'ha mortificata. Diventa un modello, un teen idol, un simbolo di riscatto quasi più di Gigi Riva, che nel frattempo sta portando il Cagliari nel gotha del calcio italiano. Quando i rossoblù vincono lo scudetto, nel 1970, Gratzianeddu è in carcere a Volterra, quasi dimenticato, quasi un detenuto modello. Quasi. Rifugge, viene ripreso, approfitta di un permesso per sparire ancora, troppo facile così. Ricatturato, se ne sta buono fino al 1992 quando esce con la condizionale. Finisce in provincia di Asti, dove Indro Montanelli lo intervista. Quell'anno il settenne Farouk Kassam viene rapito a Porto Cervo e Mesina si offre come mediatore, il piccolo viene liberato, non si sa quanto merito ne abbia Gratzianeddu.
Gli trovano un fucile in casa, Mesina torna in carcere. Nel 2004 ottiene la grazia dal presidente Azeglio Ciampi, si mette a fare la guida turistica. Ma la sapete quella del lupo, del pelo, del vizio.
Nel 2013 viene arrestato per traffico di droga, la grazia è revocata, a 74 anni viene condannato a 30, ha il tempo per un'ultima latitanza a 78 anni. Catturato ancora, finisce a Bad'e Carrus e quindi a Isola. Il tumore lo agguanta e da quello non puoi scappare. Fine della storia.
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