È un Beppe Grillo tormentato, quello che studia le prossime mosse, all'indomani del sigillo sullo stop al contratto di consulenza con il M5s. Il Garante è a mezz'aria, tra il ritiro dalla politica e la tentazione di una battaglia legale. A perorare questa ultima causa c'è, in prima linea, l'ex sindaca di Roma Virginia Raggi.
L'attuale consigliera comunale capitolina cerca una seconda vita politica come rappresentante dei valori ortodossi del Movimento e perciò, in questi mesi estivi, si è molto avvicinata al Garante. L'incontro con Raggi è stato la tappa fissa degli ultimi blitz romani del fondatore.
È stata proprio lei a suggerirgli di contattare l'avvocato Pieremilio Sammarco, già mentore di Raggi, titolare dello studio legale dove l'ex prima cittadina ha fatto prima il praticantato e poi ha mosso i primi passi lavorativi, quando l'impegno politico era ancora lontano. La componente del Comitato di Garanzia spinge per le carte bollate. Sammarco ha già presentato a Grillo un piano per cavillare sull'assemblea Costituente, per bloccare il voto a suon di conteggi sugli iscritti certificati e sul quorum di ogni singola votazione.
Votazioni che potrebbero modificare quelli che Grillo ha blindato come i «tre pilastri» intoccabili del Movimento, ovvero il nome, il simbolo e la regola dei due mandati. Da qui il passaggio successivo della strategia legale. Un'impugnazione degli eventuali cambiamenti. In primo luogo la modifica del simbolo, che secondo Grillo sarebbe ancora in uso al fondatore, in virtù di una sentenza della Corte d'Appello di Genova del 2001. Messo a punto il piano, tocca metterlo in pratica. E per farlo c'è bisogno di soldi. Bisogna pagare una parcella. Ed ecco che qui spuntano le difficoltà. Il conto di una battaglia legale di queste proporzioni potrebbe essere salatissimo, stando a quanto trapela da fonti grilline ed ex grilline, che ancora mantengono i contatti con il comico di Genova. «La mancanza dei 300 mila euro all'anno sicuramente non semplifica il percorso», sospira chi prova a interpretare le mosse dello showman, alle prese con gli emolumenti per il processo del figlio Ciro. «Ha bisogno di soldi, perciò aveva chiesto a Conte di essere pagato per fare il Garante», malignano i parlamentari, che da tempo chiedevano la sospensione dei contratti con Grillo. Intanto Conte piccona sul fondatore: «Ha compromesso l'immagine del Movimento, non gli rispondo nulla» e conferma l'assemblea potrà modificare nome, simbolo e due mandati.
L'Elevato, fatto fuori dalla sua creatura, alle prese con i rischi di una parcella monstre, valuta le alternative. La prima potrebbe essere un crowdfunding nella base, una raccolta fondi da lanciare sul Blog, per pescare tra gli attivisti che ancora gli sono affezionati. Una strada che, però, non esimerebbe Grillo dallo scucire comunque una quantità considerevole di soldi. Poi c'è speranza, rinfocolata ieri, di un «aiutino» che potrebbe arrivare da Davide Casaleggio. Potrebbero andare in questo senso le parole dell'imprenditore, che ha avvertito: «Il simbolo appartiene all'Associazione fondata da me e Luigi Di Maio». Intanto il guru ci prova: «Di Battista e Grillo possono coinvolgere i giovani».
Ma, di concreto, cosa resta a Grillo? L'ultima ipotesi, accarezzata dal comico, che pure minaccia di «farla pagare a Conte», è quella di mollare la politica attiva e rimettersi a fare l'uomo di spettacolo a tempo pieno,
magari sfruttando la sua passata influenza politica per strappare cachet più corposi in Tv e a teatro. E forse per continuare a essere una spina nel fianco per Conte. Ma dalla tribuna di un palcoscenico. Utile e dilettevole.
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