Stati Uniti, 5 novembre 2024. Segnatevi da qualche parte questa data, potrebbe accadere di tutto. No, non è una profezia. È solo un timore. È l'ansia di sapere cosa accadrà durante il «crash test» della democrazia americana, quella sognata da Thomas Jefferson, quella che si è accartocciata nel sangue a Gettysburg e Chattanooga, quella che ancora porta sulla schiena le cicatrici della schiavitù e della guerra fratricida dei grigi e dei blu. L'America ci ha messo una vita a riconoscersi, con le sue bandiere al vento e la fede nella terra degli orizzonti sconfinati e delle opportunità. L'America che da colonia è diventata impero troppo in fretta e che comunque, nel bene e nel male, rappresenta il centro dell'Occidente, l'architrave della liberal democrazia in questa guerra dei mondi. L'America che in queste ore sta girando vorticosamente come una trottola impazzita. L'asse di questa giostra si chiama Donald Trump e i suoi avversari politici sperano di vederlo in una gabbia. Quello che bisogna vedere è se la sua gabbia sarà un carcere o di nuovo la Casa Bianca. È il paradosso di questa storia.
Trump è l'anomalia che ha sorpreso e scandalizzato le classi colte, ricche e istituzionali. Si è preso di forza il vecchio partito repubblicano. Ha sconfitto Hillary Clinton, la regina dei democratici, moglie di un presidente, considerata più in gamba di Bill, costretta a portarne il cognome. Trump che non conosce limiti. Trump battuto dal vecchio Biden e non ci sta. Trump che è una minaccia. La democrazia americana si fonda su una pietra d'angolo: chi perde riconosce la sconfitta. Non c'è il pareggio. Non esiste lo stallo. Non puoi fare l'ago della bilancia con il 10 per cento dei consensi. Il voto è il momento della divisione, ma poi si accetta il verdetto. È il segreto degli Stati Uniti d'America. È scritto nel loro motto: pluribus in unum.
Trump che stravolge tutto, ma che riceve una risposta ancora peggiore. È questo il punto dove si rischia il collasso. Il processo all'ex presidente puzza di vendetta politica. Il sospetto c'è e può cambiare le sorti di un impero. Questo perché Trump non è solo Trump. Non è Catilina e un pugno di congiurati, alcuni con le corna. Trump, a torto o a ragione, interpreta una larga fetta di americani. Sono quelli che resistono e bestemmiano la globalizzazione, si sentono invisibili e per questo si fanno sentire, sono periferici e testardi, vivono negli scenari post industriali del Midwest o in Texas o nel Montana. Non è detto che credano a tutte le pazzie di Trump, ma se lo mettono in catene lo sentiranno ancora di più come uno di loro. È tutta gente che vede l'America con gli occhi del baseball. Batti e corri e difendi la tua casa.
Il baseball è lo specchio dell'America. È Whitman, Steinbeck, Roth, De Lillo e Robert Redford che scopre la sua mazza di legno Wonderboy e si riprende il destino. Il baseball come romanzo della crisi, come paura del fallimento. Batti e corri e difendi la tua casa. È facile. Lo capiscono tutti, lo sentono tutti. La casa è la patria, è la terra, è dove finiscono gli altri, è quel confine che nessun governo si può permettere di stuprare, sono quelle quattro mura dove l'individuo o la famiglia costruiscono la propria libertà. Quattro mura come quattro basi. Il gioco è questo. Non farti rubare la casa, perché lì c'è la tua identità, c'è tutto quello che hai, ci sono i tuoi ricordi e da lì parti per andare a caccia del futuro.
È l'America che anche quando cerca la frontiera, si avventura, si muove negli spazi nomadi di un territorio immenso, si porta dentro la nostalgia della casa.Il baseball incarna il senso di una civiltà. Cosa accade se tutto questo va in frantumi? È la fine del gioco. È la violenza senza confini. È guerra civile. È il peggio da immaginare.
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