La guerra della spunta blu

Musk cancella la certificazione a chi non paga l'abbonamento a Twitter e la regala agli amici, tra cui LeBron James e Stephen King. Stop anche al Papa (che si arrabbia).

La guerra della spunta blu

Pontifex è uno come tanti. Non ha pagato l'abbonamento a Twitter e quindi ha perso la spunta blu che certifica i profili «ufficiali» dai possibili fake. È capitato a paa Bergoglio, ma anche ai concorrenti Kirill (patriarca di Mosca) e Ali Khamenei (guida suprema sciita in Iran). Ha mantenuto il simbolino invece il Dalai Lama, che ora è più vero degli altri leader religiosi. Senza più spunta blu anche folle di attori, cantanti, sportivi, scrittori e politici di fama mondiale, che per non aver strisciato la carta di credito si ritrovano ora con il profilo Twitter depotenziato.

Del resto Elon Musk, proprietario del social che cinguetta, lo aveva annunciato al momento del «rogito»: avrebbe certificato l'autenticità dei profili soltanto dietro pagamento di una parcella. Una gabella non altissima, in verità, circa 8 euro al mese, ma sufficiente a scoraggiare moltissimi vip e certo non per ragioni di tirchieria. Ieri è iniziato il repulisti: oltre all'account della Santa Sede, che «in attesa di conoscere le nuove policy della piattaforma, confida che esse comprendano la certificazione dell'autenticità degli account», hanno perso la «vu» blu la regina del pop Beyoncè (15,5 milioni), il New York Times, Donald Trump, Cristiano Ronaldo con i suoi 108,3 milioni di fan e, in Italia Fiorello e Jovanotti. Per le istituzioni Musk ha ideato una spunta grigia, mentre c'è quella oro per gli account business.

Ma siccome tutto il mondo è paese, anche quello dei ricconi visionari, ecco Musk omaggiare alcuni vip morosi della spunta blu. Tra essi il cestista LeBron James e lo scrittore Stephen King (7,1 milioni di follower), che per la verità non sembra particolarmente entusiasta del privilegio, e twitta così: «il mio account Twitter dice che mi sono abbonato a Twitter blu. Non l'ho fatto. Il mio account Twitter dice che ho lasciato un numero di telefono. Non l'ho fatto».

In Italia non tutti hanno preso benissimo il declassamento social. Fiorello ad esempio manda un anatema siculo all'imprenditore di Tesla: «Mi hai tolto la spunta! Che tu sia maledetto Elon... Mi ha spuntato la minchia. Sappilo!». Barbara D'Urso, che scrive accanto al proprio nome «profilo ufficiale», non sembra intenzionata a cedere al ricatto del miliardario di origini sudafricane: «Buongiorno a tutti con la mia nuova spunta #colcuore. Bye bye Elon Musk».

La spunta blu fin dal 2009, qualche anno dopo la nascita di Twitter, è garanzia di profili affidabili. La sua scomparsa in molti account prestigiosi potrebbe agevolare i «ladri» di identità, anche se lo stesso Musk la spiega al contrario: «Si possono facilmente creare 10mila o 100mila account Twitter falsi utilizzando un solo computer da casa e l'intelligenza artificiale. Questo è il motivo per cui bisogna stringere le maglie della certificazione e fare in modo che per ottenere la spunta blu servano un numero telefonico verificato e una carta di credito. La mia previsione è che qualsiasi cosiddetto social network che non lo faccia fallirà». Nel frattempo anche Twitter non se la passa benissimo: dopo l'acquisto da parte di Musk il social con l'uccellino ha perso più della metà del proprio valore (da 44 a 20 miliardi di dollari) e ridotto i dipendenti da 8mila a 1.500.

In calo anche gli utenti: a dicembre erano 368 milioni quelli attivi almeno una volta al mese (dei quali 300mila certificati a pagamento), saranno 335 milioni entro il 2024, un calo di circa il 5 per cento rispetto al 2022.

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