Ha sparato: indagato l'agente. "Eccesso di legittima difesa"

La replica dei sindacati di polizia: "Costretto a usare l'arma, poi l'ha soccorso". L'appoggio dei politici di centrodestra

Ha sparato: indagato l'agente. "Eccesso di legittima difesa"
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È stato iscritto nel registro degli indagati l'agente della Polfer che domenica all'alba alla stazione di Verona ha ucciso a colpi di pistola Moussa Diarra, migrante 26enne del Mali che lo stava aggredendo con un coltello da cucina. Un atto dovuto, si dice: il quadro nel quale procede l'indagine è infatti la legittima difesa da parte del poliziotto, ma si vuole accertare se quel perimetro sia stato superato. Da fonti giudiziarie si apprende infatti che l'iscrizione nel registro con l'ipotesi di eccesso colposo di legittima difesa consente all'indagato anche di nominare propri periti per gli accertamenti forensi.

Tanto basta, però, per far alzare gli scudi in difesa dell'agente, con esperienza ventennale alle spalle. A partire dai sindacati di polizia: «Il collega che ieri sembra essere stato costretto ad usare l'arma ha immediatamente dopo cercato di soccorrere l'aggressore che stava morendo. Basterebbe questo a capire che sotto quella divisa c'era una persona dotata di un profondo senso di umanità», ha riferito il segretario del Siulp Felice Romano. Sulla stessa linea Domenico Pianese, segretario del Coisp: «L'intervento deciso della polizia ferroviaria è stato indispensabile per impedire che l'aggressione sfociasse in un dramma ancora più grave, con conseguenze potenzialmente fatali per le persone presenti sul posto». Ma è anche un pezzo di politica a difendere l'agente. Il senatore Maurizio Gasparri si rende «personalmente a disposizione per la tutela morale, legale e ogni forma di assistenza per l'agente». L'europarlamentare di Forza Itaia Flavio Tosi si augura «che non subisca gravose e costose indagini sul suo operato».

Ma chi era Moussa Diarra? Arrivato in Italia dal suo Paese a 15 anni, era in regola col permesso di soggiorno ma si era visto respingere la richiesta di asilo come rifugiato. Era inserito nella rete di accoglienza veneta: tempo fa era stato ospitato da «Il Samaritano», una struttura d'accoglienza per senza fissa dimora della Caritas. Adesso, era uno dei circa quaranta migranti che aveva trovato rifugio al «Ghibellin Fuggiasco», struttura gestita dall'associazione «Paratod@s», recentemente abbandonata per le sue condizioni fatiscenti. Il 10 ottobre doveva inoltre recarsi in Questura per il rinnovo del permesso di soggiorno, ma all'appuntamento non si è mai presentato. In Italia aveva anche un fratello, arrivato domenica da Torino per il riconoscimento della salma. «Stava lavorando, aveva un percorso di integrazione avviato. Bisogna capire cosa abbia fatto di lui una persona aggressiva in quel modo quella tragica mattina», ha detto l'assessora alla Sicurezza di Verona Stefania Zivelonghi - che invece finisce travolta dalle polemiche sul contesto pericoloso in alcune zone della città, tra le quali Porta Nuova.

I consiglieri comunali di minoranza hanno sollecitato l'assessora a dimettersi e lo stesso Tosi punta l'indice sulla sicurezza: «Verona è insicura, lo denunciamo da anni.

Manca il presidio della città, la stazione andrebbe controllata 24 ore su 24 - aggiunge - Non a caso, l'aggressore è andato in giro per due ore a minacciare con un coltello in mano chiunque incontrasse. Pensate se avesse aggredito e ucciso qualche innocente».

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