Hezbollah riaccende la miccia al confine tra Israele e Libano

Sventato un tentativo di infiltrazione. Netanyahu convoca il Consiglio di sicurezza e minaccia Beirut

Hezbollah riaccende la miccia al confine tra Israele e Libano

Fumo e scoppi su Ar Dov, il monte Dov, sul confine fra il Libano e Israele: la bandiera gialla sventola in lontananza fra le pietre e l'esercito israeliano, poche ore dopo uno scambio a fuoco che avrebbe potuto finire e ancora può finire in guerra, fa sapere ai cittadini che possono uscire dai rifugi. Le truppe cammellate di Hassan Nasrallah si lanciano in cortei di una pretesa inesistente vittoria.

Netanyahu si sposta a Tel Aviv al ministero della Difesa per una riunione urgente con Benny Gantz (entrambi avvertono il Libano), abbandonando per un momento gli affari urgenti del Covid19, che angosciano il Paese e lo spingono a continue manifestazioni. Ma Israele è sempre un piccolo Paese assediato, e se qualche volta può dimenticarlo per occuparsi di faccende urgenti, i suoi vicini invece non lo scordano mai.

Nonostante il gruppo terrorista non sia riuscito a penetrare i confini, moto e jeep rombano nel paesaggio scabro del Golan, pugni levati, urla e spari. Le cittadine di là dal bordo sono abituate allo strapotere e alla violenza del «Partito di Dio» che non diminuiscono nemmeno in tempo di miseria e di virus che strazia il Libano. Il messaggio obbligatorio è anche stavolta «vittoria», siamo riusciti a entrare in territorio nemico e siamo tornati vivi dopo che avevamo annunciato una vendetta. E vendetta così è fatta. Fragile, ma guai a chi non ci crede. La messa in scena è per la pretesa vendetta per la morte di Ali Kamel Mohsen, un comandante del gruppo terrorista che, stanziato in Siria per la guerra siro-iraniana di Assad, è stato ucciso da un raid israeliano vicino a Damasco. Un nodo dolente per Nasrallah, che manda là a morire tanta gioventù sciita. Erano due lunedì or sono, è là comincia la faida che ha portato il capo degli Hezbollah a promettere la vendetta. Ma il gruppo che doveva compierla, è stato bloccato prima. Ieri nel primo pomeriggio le unità speciali dell'esercito israeliano già all'erta, come in un film hanno individuato mentre si infiltrava fra i cespugli una squadra armata di tre quattro-persone e l'hanno messa in fuga con spari evitando però di colpirne gli uomini in modo, si può pensare, da evitare l'escalation. Il paesaggio petroso del Golan si è impennacchiato di fumo, i villaggi libanesi del confine si sono spaventati e alcune case sono state danneggiate: dove ieri c'è stato il tentativo di infiltrazione ci fu l'attentato, sempre di vendetta, che uccise due soldati israeliani dell'unità Givati il 28 gennaio 2015, e che 14 anni fa dette inizio alla seconda guerra. L'abbiamo seguita passo passo coi soldati che la notte camminavano uno dietro l'altro coi cappelli mimetici sul terreno punteggiato di agguati degli Hezbollah; 121 vi hanno lasciato la vita (qualcuno ricorderà che fu ucciso anche il figlio di David Grossman) in molte azioni eroiche. Israele non vuole arrivare di sicuro a uno scontro bellico, ed è per questo che, anche usando una quantità di fuoco da varie postazioni, ieri non ha colpito il gruppo terrorista in fuga.

Ma se la situazione economica e sociale instabile fino alla rivolta che il Libano attraversa e che indebolisce la leadership del partito sciita sia per gli Hezbollah uno stimolo a combattere o un freno, solo Nasrallah lo sa.

E si deve valutare anche se come è pensabile influisce, e forse decide, la rabbia dell'Iran che cerca una vendetta contro chi ha colpito Natanz e le altre centrali. Per la gente del Nord d'Israele e quella del sud del Libano si preparano giorni difficili.

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