A Hong Kong democrazia alla sbarra: un anno di galera all'editore ribelle

Jimmy Lai aveva organizzato uan protesta nel 2019. Altri 9 oppositori condannati. E si candida solo chi sta con la Cina

A Hong Kong democrazia alla sbarra: un anno di galera all'editore ribelle

Che la democrazia fosse morta a Hong Kong se ne sono resi conto in tutto il mondo, soprattutto all'indomani della legge, approvata lo scorso luglio per volontà di Pechino, sulla Sicurezza nazionale. In base a questa norma, la polizia locale può arrestare chiunque sia accusato di compiere atti di sedizione e sovversione (come le proteste non autorizzate) fino alla collusione con forze straniere. Da allora repressione e manette sono scattate senza tregua, con decine di attivisti pro democrazia arrestati. E anche condannati, com'è accaduto ieri a Jimmy Lai, magnate dell'editoria, finito alla sbarra per aver organizzato e preso parte a una manifestazione di protesta il 19 agosto 2019. Il tribunale gli ha inflitto una pena di 12 mesi, ai quali il giudice ha aggiunto altri 8 mesi di carcere per il suo ruolo in un'altra dimostrazione non autorizzata il 31 agosto 2019. Il fondatore del giornale d'opposizione Apple Daily, che ha 73 anni, ha condiviso la condanna con altri nove imputati. Tra i condannati c'è il cosiddetto «padre della democrazia» dell'ex colonia, Martin Lee, un avvocato di 82 anni ed ex deputato noto per la sua difesa dei diritti umani. La sua condanna a 11 mesi è stata sospesa per l'età avanzata. Poi c'è Lee Cheuk-yan, vicepresidente del Partito del lavoro, noto per aver contribuito a organizzare veglie annuali a Hong Kong nell'anniversario della sanguinosa repressione delle proteste in Piazza Tienanmen, che è stato condannato a 12 mesi di carcere. Infine, gli avvocati Albert Ho e Margaret Ng, condannati a 12 mesi ma con la pena sospesa, e gli ex deputati Leung Kwok-hung e Cyd Ho, ai quali hanno comminato rispettivamente 18 e 8 mesi di reclusione.

Quella del 19 agosto 2019 fu una manifestazione gigantesca, con 1,7 milioni di persone nelle strade. La polizia autorizzò solo una protesta nel parco, ma gli organizzatori decisero di sfilare per la città. Così ieri il giudice Amanda Jane Woodcock ha sostenuto che gli imputati hanno consapevolmente deciso «di violare la legge», una scelta «grave considerando l'instabilità di quei giorni». «Il caso implica una sfida diretta all'autorità della polizia ha sentenziato il giudice -. La marcia era premeditata e ha causato interruzioni del traffico. E anche se era pacifica, c'era un rischio latente che potesse finire in violenza».

Le condanne sono state l'ultimo di una serie di colpi inflitti al movimento democratico dell'ex colonia britannica, passata sotto il controllo di Pechino nel 1997. Hong Kong, infatti, è una regione a statuto speciale diventata cinese con un accordo che garantiva particolari diritti e libertà per almeno 50 anni.

Ma negli ultimi due anni le cose sono completamente cambiate: Pechino non tollera più alcun tipo di dissidenza e ha imposto delle leggi liberticide e repressive, che prevedono arresti per futili motivi e che stravolgono il sistema elettorale in modo che possano presentarsi al voto soltanto i candidati approvati dalle autorità cinesi. D'altra parte, non solo a Pechino ma anche a Hong Kong i comunisti proclamano che solo i patrioti, cioè chi ama la Cina e il Partito, potrà candidarsi alle elezioni.

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