I 100 stranieri morti in sei mesi e le paghe da fame: 1,8 euro l'ora. La lotta (in salita) al caporalato

Il rapporto Istat denuncia abusi e sfruttamenti. La legge c'è ma controlli e denunce sono pochi

I 100 stranieri morti in sei mesi e le paghe da fame: 1,8 euro l'ora. La lotta (in salita) al caporalato
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Satnam Singh è il centesimo lavoratore straniero morto quest'anno in Italia. Il centesimo. Senza contratto, senza permesso di soggiorno. Senza diritti né dignità. E con una paga da fame imbarazzante: 4 euro all'ora e via. «Una paga del genere - aveva scritto un giudice del lavoro del Tribunale di Milano trattando il caso di una donna che prendeva 3,96 euro all'ora - lede il diritto del lavoratore a un'esistenza libera e dignitosa per sé e per la propria famiglia». Difficile sostenere il contrario.

Anche quando miracolosamente non ci sono incidenti mortali sul lavoro, le situazioni al limite sono parecchie: ieri i Carabinieri del Comando della tutela del Lavoro di Napoli hanno smantellato un giro di caporalato in cui i braccianti prendevano 1,80 euro e lavoravano per 11-16 ore al giorno fra insulti, minacce e condizioni di alloggio disumane. E fra tutti i diritti mancanti, ai lavoratori iper sfruttati mancava anche il diritto di denunciare il capo: troppo rischioso.

Pochi mesi fa 60 lavoratori agricoli sono stati trovati in condizioni «da schiavi» a Ostiglia, in provincia di Mantova, durante un blitz dei carabinieri contro il lavoro nero e il caporalato.

Le condizioni di lavoro degli irregolari vengono dettate spesso da persone senza scrupolo che sfruttano, non garantiscono condizioni di lavoro sicure e riescono, ancora, a bypassare la legge contro il caporalato. Che dal 2016 lo ha reso reato. I controlli sono pochi e, anche se la legge sulla carta è ineccepibile, difficilmente viene applicata. Solo nel 2023 e sulla scorta di poche centinaia di accertamenti (222), le aziende agricole del Lazio hanno fatto registrare un tasso di irregolarità del 64,5%.

Le leggi sulla sicurezza del Lavoro ci sono, a cominciare da quella varata nel 2008: 306 articoli scritti sull'onda emotiva della strage della ThyssenKrupp, l'acciaieria torinese in cui nel 2007 morirono carbonizzati sette operai. Ancora oggi, parte di quelle norme sono inapplicate. Nel 2016 sono state inasprite le pene. E per evitare sfruttamenti sregolati, è stata varata la Rete del lavoro agricolo di qualità, cioè degli uffici di collocamento per i braccianti che dovrebbero far incontrare la domanda e l'offerta. Tuttavia si tratta di poche agenzie e le aziende agricole iscritte sono una percentuale bassissima rispetto a quelle che attingono alla manodopera dei braccianti.

Il lavoro da fare è ancora parecchio: le stime dell'Istat riportate nel Rapporto agromafie e caporalato evidenziano che, nel corso del 2021, sono stati circa 230mila gli occupati impiegati irregolarmente nel settore primario. Il fenomeno riguarda anche le donne: 55mila le donne che lavorano in condizioni di irregolarità. A ciò si aggiunga che le donne si trovano a vivere un triplice sfruttamento: lavorativo, retributivo (con paghe ancora più basse rispetto a quelle degli uomini) e, spesso, anche fisiche.

Peraltro, se è vero che la geografia del lavoro agricolo subordinato non regolare è radicato in Puglia, Sicilia, Campania, Calabria e Lazio con tassi di irregolarità che superano il 40%, in molte regioni del Centro-Nord i tassi di irregolarità degli occupati sono comunque compresi tra il 20 e il 30%.

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