È la sorella delle vittima, ma non sta chiusa nella corazza del dolore.
Il dramma che le è cascato addosso ha trasformato la sofferenza in passione e la passione in azione. Elena Cecchettin è ormai un personaggio che va oltre i confini di una famiglia segnata da un lutto terribile.
Elena attacca il vicepremier Matteo Salvini, Elena scrive una lettera al Corriere della sera per denunciare la «cultura del patriarcato», Elena diventa a sua volta il bersaglio del consigliere regionale Stefano Valdegamberi, da cui subito si dissocia il presidente della regione Veneto Luca Zaia.
Le gocce di dolore diventano lacrime di rabbia. Ricorda, senza tentennamenti, «i ricatti emotivi» di Filippo a Giulia e quella volta in cui il futuro assassino mitragliava di messaggi le due sorelle, insieme a Milano ad un concerto.
Nel cratere lasciato dalla scomparsa di Giulia, trova la forza per scrivere una lettera al Corriere della sera che più di uno sfogo sentimentale ha la potenza di un manifesto, l'espressione di una posizione senza spazio per la mediazione: «Turetta viene spesso definito come mostro, invece mostro non è. ..I mostri non sono malati, sono figli sani del patriarcato».
Parole dense e durissime, che finiscono per polarizzare l'opinione pubblica. Parole che potrebbero essere pronunciate da una psicologa, da una studiosa, da un magistrato e invece arrivano dalla villetta di Vigonovo, l'epicentro della tragedia, per di più dopo un'attesa estenuante di giorni in cui la speranza scemava sempre di più ma non voleva morire.
Elena ha 24 anni, studia microbiologia a Vienna, è la prima di tre figli, ha una coscienza civile temprata evidentemente da marce e cortei. Da qui nasce la forza che l'ha portata ad attaccare pure Salvini nelle ore cruciali di quello che poteva sembrare un giallo, ancora senza soluzione: «Se colpevole - aveva affermato lui - nessuno sconto di pena e carcere a vita». Durissima la replica di lei: «Dubita della colpevolezza di Turetta perché bianco, perché di buona famiglia. Anche questa è violenza, violenza di Stato». «Lo Stato - rincara la dose in un'intervista a Repubblica on line - non fa abbastanza per prevenire. Non finanzia adeguatamente i percorsi educativi, l'educazione sessuale e affettiva nelle scuole. Lo Stato è complice perché non condanna apertamente questi episodi, non dice le cose che dovrebbe, non rende sicure le donne. Quando la Francia ha previsto il reato di catcalling, in Italia è sembrata una cosa esagerata. Invece sono queste le decisioni che servono».
Quasi una requisitoria. Fra quotidiani e tv: «Gli uomini devono fare mea culpa, anche chi non ha mai fatto niente, anche chi non ha mai torto un capello» dice dagli schermi de La 7.
Un linguaggio e una postura che ricordano in qualche modo quelli di Ilaria Cucchi: la sua lunghissima e faticosissima battaglia per ottenere la verità sulla morte del fratello Stefano. E naturalmente sui social, dove scorrono veleni e malignità, c'è già chi immagina una sua virata, un domani, verso la politica. Un percorso che lei sembra prendere in considerazione: «Sono una studentessa, mi voglio laureare. Ovviamente non lascerò cadere questa cosa, sono sempre stata attiva politicamente, nel futuro ci metterò il mio impegno. Voglio che quello che è successo a Giulia non sia stato invano». Vedremo presto Elena, che ha già 100mila follower su Instagram, candidata?
Per ora, c'è chi polemizza con lei, senza rispettare il momento che imporrebbe comunque discrezione e compostezza.
E invece il consigliere regionale Stefano Valdegamberi non si trattiene, puntando il dito anche contro i «simboli satanisti» sulle sue felpe: «Le dichiarazioni di Elena mi hanno sollevato dubbi e sospetti che spero i magistrati valutino attentamente. Il suo mi sembra un messaggio ideologico, costruito ad hoc, pronto per la recita». Zaia, nella cui lista Valdegamberi è stato eletto, si «dissocia totalmente».Elena si espone. A costo di dividere.
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