Non sono certo una filosofa, ma è ormai da molto tempo che penso che lo scontro verticale fra destra e sinistra cui si assiste in tutto il mondo, in Italia come nel resto d'Europa, negli Stati Uniti, in Israele meriti che un impegno rinnovato di pensiero su cosa significa oggi essere conservatori e che cosa progressisti. Ha scritto un articolo molto bello sull'argomento Galli della Loggia sul Corriere della Sera nei giorni scorsi, mettendo l'accento specie sull'errore progressista di ignorare l'importanza della «natura» intesa come struttura delle relazioni e della storia dell'uomo da recuperare contro la destrutturazione progressista. Da parte mia, una giustificazione: scrivo di questo contrasto trovandomi a Gerusalemme, perché esso è assolutamente identico in tutto l'Occidente democratico. Stessa richiesta drammatica di «democrazia» in un contesto democratico, stessa identificazione di pericoli «fascisti» ovunque, stesse accuse di razzismo, di sessismo, di sfruttamento, di rendere la vita impossibile alle minoranze, ai malati, ai poveri agli immigrati. Questo fornisce un forte vantaggio al progressismo, la sua universalizzazione transoceanica da Oltreoceano all'Italia, Francia, Inghilterra e Israele, in cui un coro conforme richiede giustizia sociale a gran voce, in maniera che si è fatta molto aggressiva con la sua nuova maniera di proporsi. Parlo della tecnica e del contenuto «woke», un'unica armata di oppressi infuriati contro la cricca della destra. Un movimento internazionale che utilizzando la magnifica arma del risentimento, impugna un movimento sfrenato di accusa: la «destra» sfrutta, attenta alla libertà, nega la libertà di parola o di comportamento (specie sessuale), è razzista o socialmente egoista, ripristina il concetto di nazionalismo per forza storicamente colpevole. Un castello di potere da destrutturare, e questa destrutturazione appare avere le medesime caratteristiche in tutto il mondo. È la risposta che invece ha caratteri specifici a seconda di dove i conservatori devono trovare la loro identità construens a seconda della loro religione, la nazione, la visione del passato, l'economia, l'immigrazione.
La difficoltà maggiore oltre a dover ricostruire la fiducia nella natura e nella storia, come scrive giustamente Galli della Loggia, è quella di proporre un mondo che al contrario di quello furiosamente contestato, valga la pena di essere vissuto con amore anche per la sua tradizione, per la sua cultura, quindi che sia amabile per il passato e per il futuro che promette: è una battaglia egemonica crudele e coraggiosa, nelle scuole, negli atenei, nel cinema, a cena con gli amici.
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