Altro che scissioni: nel Pd a guida Schlein è tempo di riposizionamenti e conversioni.
Chi era salito sul carro di Stefano Bonaccini, vincitore designato della vigilia, ora tende la mano - in nome dell'«unità del Pd» - alla neo-segretaria. «Elly Schlein accende l'entusiasmo», riconosce ad esempio Graziano Delrio, foto, (ex ministro e ex capogruppo), che loda la prima uscita da leader nella «piazza antifascista» di Firenze, la invita a «non spingere fuori chi non la pensa come te» e celebra lo spostamento a sinistra dell'asse dem sulla «agenda dell'ecologia integrale di Papa Francesco», qualunque cosa essa sia. Del resto l'ala pro-Elly che fa capo a Dario Franceschini, che sa come si gestisce il potere interno, ha subito consigliato alla nuova leader di «valorizzare» personaggi «cerniera» come Delrio, per l'appunto: «Sarebbe un ottimo presidente del Pd», le hanno suggerito: ex renziano, ma molto cattolico di sinistra, un po' pacifista e un po' prodiano: il mix perfetto per poter dire di aver concesso una poltrona di rilievo alla minoranza, senza mettersi in casa personaggi ingombranti come il suo antagonista Stefano Bonaccini. Al quale, infatti, la neo-segretaria non ha ancora fatto alcuna proposta concreta, tanto che lui le manda un messaggio chiaro: è pronto a «dare una mano» per l'unità del partito, «tocca a lei» proporre in che ruolo, ma Elly si ricordi che ha sì vinto le primarie, ma «quasi la metà degli elettori mi ha dato la propria preferenza, e la maggioranza assoluta degli iscritti» lo ha votato nei congressi.
Pronti a collaborare con Elly sono anche grandi elettori di Bonaccini come il sindaco di Firenze Dario Nardella (accetterebbe volentieri un ruolo di vice in segreteria, e una candidatura da capolista alle prossime Europee del 2024); Debora Serracchiani (che gradirebbe assai la riconferma nel ruolo di capogruppo alla Camera); Michele Emiliano (che punta anche lui su un comodo seggio a Strasburgo come via di fuga dalla presidenza della Regione Puglia, assai malmessa). Per il veltroniano Walter Verini, Schlein «può scrivere una pagina nuova», mentre lui potrebbe tornare al ruolo di responsabile Giustizia.
Movimenti frenetici sono in corso anche dentro la componente «schleiniana»: tutti i gruppetti e le correnti che si sono schierati per la neo-segretaria ora vogliono passare all'incasso e ottenere ruoli di visibilità e potere interno. Ragion per cui molti di loro sono contrari al coinvolgimento della minoranza bonacciniana, che farebbe ridurre i posti in palio. Il quarantenne Marco Furfaro, proveniente dalla vendoliana Sel, uno sfortunato passaggio da candidato per la Lista Tsipras (a fregargli il posto a Strasburgo fu l'ineffabile Barbara Spinelli, che si tenne il seggio anziché cederglielo come promesso: «Mi ha trattato come carne da macello», denunciò lui), poi arruolato da Zingaretti come «esterno», ora punta alla cabina di regia del Nazareno. Vorrebbe il ruolo di «coordinatore della segreteria», e soprattutto la preziosa delega a trattare per conto del Pd i posti in Rai.
A sinistra della sinistra si agitano anche i superstiti di Articolo 1, il partitino bersanian-dalemiano che ora ha fretta di confluire definitivamente nel Pd, e di ottenere qualche poltrona. Il che crea competizioni interne: sia il coordinatore Arturo Scotto (gentilmente eletto alla Camera nelle liste Pd) che Alfredo D'Attorre, rimasto invece a piedi, puntano alla carica di responsabile Esteri.
Ma per Schlein la richiesta è un problema: affidare quel ruolo a un esponente del «pacifismo» filo-russo, contrario al supporto alla Resistenza ucraina, rischia di distruggere sul nascere la sua credibilità sul fronte internazionale.
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