Il presidenzialismo, per alcune forze politiche, resta un tabù, ma tra i giuristi italiani sembra tirare un'altra aria. In relazione alla polemica costruita ad arte da sinistra sulle parole che il presidente Silvio Berlusconi ha pronunciato sul futuro istituzionale del Belpaese, Michele Ainis si è espresso così, parlandone con l'Agi: «Nei giorni scorsi ho scritto un articolo I partiti e il presidente nel quale credo di essere stato il primo e l'unico a fare presente ciò che, con tutt'altro effetto politico, ha spiegato Berlusconi, ma è una ovvietà: se si passa a un sistema presidenziale il presidente deve andare via, o perché la legge stabilisce l'immediata decadenza, oppure - come dicevamo ed è l'ipotesi più auspicabile - la riforma dovrebbe entrare in vigore nella prossima legislatura, ma anche in quel caso Mattarella non so se accetterebbe di continuare un interregno, tanto più se questo dovesse passare per un referendum». Insomma, la bufera sollevata da sinistra ha poco senso d'esistere.
Per il professor Giovanni Guzzetta, sentito dal Giornale, dipende tutto dal quadro normativo: «Credo che questa campagna elettorale stia purtroppo affrontando temi delicati quali le riforme istituzionali e costituzionali in maniera polemica. Invece bisognerebbe porre queste questioni in modo serio - premette - . Per quanto riguarda il presidenzialismo, il legislatore che dovesse approvare una riforma così delicata, dovrebbe porsi il problema delle norme che accompagnerebbero la riforma». Poi la spiegazione sull'eventuale passaggio da questo sistema a quello presidenziale: «Tra queste, potrebbe essere prevista una disciplina transitoria. Una riforma così può essere fatta in molti modi. Chiaro che sarà la norma a determinare tempi e modi. Poi ovviamente, se così prevederà la legge, quando la riforma entrasse in vigore e venisse eletto un diverso presidente, il precedente, qualora ancora in carica, cesserebbe dal mandato». Ovvio ma a quanto pare non per tutti. Per il professor Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale che si è più volte soffermato sul presidenzialismo, bisognerebbe guardare al pregresso: «Abbiamo due precedenti di modifiche costituzionali - ha dichiarato al Giornale - che toccavano l'una la durata in carica di titolari di funzioni pubbliche, l'altra il numero dei titolari. Mi riferisco alle leggi costituzionali numero 2 del 1963 e numero 1 del 2020. La prima ha ridotto la durata dei membri del Senato da 6 a 5 anni. La seconda ha ridotto il numero dei parlamentari da 945 a 600. L'una e l'altra norma costituzionale hanno disposto espressamente l'applicazione della modifica alla legislatura successiva». Il giudice emerito ha proseguito: «In materia costituzionale i precedenti hanno un'importanza fondamentale. Quindi si può concludere che una norma che modifichi in qualche modo la disciplina della scelta o dei poteri del presidente della Repubblica debba contenere anche una norma che pospone l'applicazione concreta al termine del mandato del titolare in carica». Alfonso Celotto, altro costituzionalista, ha riconosciuto la natura dicotomica del momento: «La riforma migliorerebbe il nostro sistema - ha annotato - , consegnandoci una forma di governo più stabile. Il punto è capire come procedere, perché il legislatore di riforma costituzionale può operare in più modi. Facciamo il caso della riforma del taglio dei parlamentari: abbiamo concluso la legislatura con il vecchio assetto, pur sapendo che a breve sarebbe cambiato molto. Ripeto: dipende dal legislatore. Ma è campagna elettorale, è normale e non vedo problemi: il presidenzialismo è un argomento che divide».
L'approvazione del presidenzialismo modificherebbe nel profondo l'assetto istituzionale che conosciamo. La discussione del legislatore potrebbe anche vertere su tempi e modalità, ma non c'è dubbio sulla portata storica di una riforma che accompagna il centrodestra sin dalla sua nascita.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.