C'è un prima e un dopo in questa storia assurda della «sparatoria di Ardea».
Il prima e il dopo sono i due fili intrecciati di una corda diventata un cappio, al quale ci siamo tutti impiccati.
Il filo del prima è quello di una sottovalutazione, totale e colpevole, di una situazione gravissima che era sotto gli occhi di tutti; il filo del dopo è quello di uno spiegamento di forze, inutile e scenografico, per porre rimedio a ciò che ormai era irreparabile.
Il filo del prima è quello di un ingegnere informatico mezzo matto, a detta di tutti un «fuori di testa violento e pericoloso», che da anni terrorizzava la gente del quartiere. Senza fare distinzioni. Per lui andavano bene tutti: donne, uomini, bambini, vecchi. Attenzione: le sue aggressioni non erano solo verbali, ma pure fisiche. E non solo. Le testimonianze sono univoche: «Quello lì andava in giro con una pistola. Una pistola vera. E la tirava fuori spesso». La «pistola vera» era quella «ereditata» dal padre, ex guardia giurata, morto anni fa. Quella pistola, incredibilmente, invece di essere sequestrata rimase in casa dell'«ingegnere folle» che la trasformò nel suo giocattolo preferito. Per mesi e anni nessuno si è posto il problema di portargliela via. Neppure quando minacciò di ammazzare la madre. Neppure quando continuò a minacciare questo o quello. Come in un passatempo di morte.
Eccolo il filo del prima, annodato sulle responsabilità di chi doveva intervenire e invece non ha fatto nulla. Con quella stessa pistola il «fuori di testa» ha ammazzato ieri tre innocenti: due fratellini e un anziano che ha tentato di difenderli. I fratellini stavano giocando a pallone in un giardino, com'era loro diritto. Come avrebbero dovuto continuare a fare per tutta l'infanzia e l'adolescenza. Il loro allenatore di calcio dice che «erano bravi, ma soprattutto erano due bambini gentili ed educati. Con tanta voglia di vivere e divertirsi. Sempre disponibili con i compagni, sempre pronti ad aiutarli». Il più grande dei due aveva 11 anni, prima di uscire di casa aveva dimenticato di dare un bacio al nonno. Era tornato apposta. Per baciarlo.
L'anziano stava invece facendo un giro in bicicletta. Aveva lavorato una vita intera, ora aveva diritto a godersi la pensione. Ma gli spari - senza motivo - di un pazzo hanno cancellato tanto i diritti di due bambini quanto quello di un vecchio. Ha ragione a urlare il padre dei piccoli con le magliette inzuppate di sangue: «Io ai domiciliari per un po' di droga, lui libero in strada a sparare sugli innocenti».
Ha ragione a gridare la moglie dell'anziano: «Non si può morire così. Mio marito non è rientrato a casa per pranzo. Era metodico. Mi sono preoccupata. Poi ho sentito quelle voci: C'è stata una sparatoria. Ho avuto subito un brutto presentimento. Sono scesa in strada e ho visto la sua bicicletta a terra. Lui a pochi metri con la faccia a terra e una macchi rossa sul petto. Era un altruista, avrà certo tentato di difendere quei bimbi. È tutto assurdo, quel giovane era un pericolo pubblico, una mina vagante, Ma nessuno se n'è preoccupato».
Quando arrivano le forze dell'ordine con tanto di reparti speciali, cani, elicottero e droni, i fratellini e l'anziano sono già tre cadaveri, mentre «l'ingegnere con problemi psichici» (sottoposto più volte a trattamento sanitario obbligato) si è barricato in casa.
La madre cerca di
convincerlo ad arrendersi. I carabinieri trattano. Lui resta in silenzio. Poi si punta la pistola alla tempia e spara un colpo. I carabinieri fanno irruzione e lo trovano morto.A terra rimane un filo: è il filo del dopo.
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