Quattro tagiki pronti a uccidere e a dichiararsi militanti dell'Isis senza però adottare la tecnica «kamikaze» considerata il marchio di fabbrica dello Stato Islamico. E poi quella strana fuga verso la frontiera con l'Ucraina dove oltre ai militanti dell'opposizione russa si addestrano e combattono migliaia di militanti ceceni. Sono questi gli elementi su cui si concentrano i sospetti di un'intelligence russa decisa a dimostrare che dietro il massacro di sabato sera alla Crocus City Hall di Mosca c'è non solo l'Isis, ma anche lo zampino dei servizi segreti di Kiev.
A rendere tutto più esplicito ci pensa, come sempre, Maria Zakharova ricordando che negli ultimi anni l'Ucraina ha condotto «attività terroristiche attive e sistematiche contro i cittadini russi». La loquace portavoce del Ministero degli Esteri ricorda «i bombardamenti programmati di aree residenziali, compresi asili, scuole, istituti medici, gli attacchi a importanti infrastrutture civili, compresi i trasporti e gli impianti energetici» e infine «gli attacchi contro personaggi pubblici e giornalisti». Ma il sospetto di un coinvolgimento dei servizi segreti ucraini non si basa, solo sui precedenti. L'anomalo epilogo della strage rivendicata dall'Isis, ma conclusasi senza il rituale suicidio finale degli attentatori lascia quanto meno perplessi. E fa pensare agli investigatori che l'addestramento militare degli attentatori non comprendesse l'educazione al sacrificio personale. Un'anomalia non da poco visto che contrariamente alla prassi jihadista i quattro militanti tagiki hanno preferito rinunciare alle 72 vergini in attesa nel paradiso dell'Islam per salvar la pelle. Ma non solo. Dopo esser rimontati sulla Renault Symbol bianca con cui avevano raggiunto il teatro hanno tentato la fuga verso le foreste di Bryansk. La regione, al confine con l'Ucraina, è famosa da oltre un anno per le sue frontiere colabrodo ripetutamente violate dagli oppositori russi addestrati dall'Sbu, la branca militare dell'intelligence di Kiev.
Ma tra i combattenti stranieri adottati dall'Sbu vi è anche una nutrita rappresentanza di jihadisti ceceni. E tra essi molti reduci delle due guerre combattute contro la Russia di Eltsin e di Vladimir Putin. Guerre seguite da un terribile stillicidio di attacchi terroristici firmati dai militanti ceceni legati ad Al Qaida o all'Isis. Dopo il 2014 molti di quei veterani hanno raggiunto l'Ucraina formando le prime unità cecene in seno a Kiev. Tra queste la più attiva è il battaglione Sheikh Mansour. Dopo l'invasione russa dell'Ucraina in questa unità sono confluiti più di mille volontari. Ma l'afflusso di combattenti ha portato alla formazione di almeno altri quattro battaglioni tra cui lo Dzhokhar Dudayev intitolato al leader che nei primi anni 90 proclamò l'indipendenza della Cecenia guidando il primo conflitto con Mosca. Ma - oltre ai volontari ceceni - queste unità raccolgono anche centinaia di militanti islamisti provenienti dalle repubbliche del Caucaso, come la Georgia e il Daghestan o da quelle ex sovietiche come il Tagikistan e l'Azerbajan.
Militanti che nei sospetti dell'intelligence di Mosca hanno spesso una doppia affiliazione. Ovvero s'addestrano e combattono con le armi e le divise di Kiev, ma agiscono per conto dello Stato Islamico e del credo jihadista.
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