«É indubbio che il dottor Davigo abbia portato a conoscenza di una seleziona platea di personaggi, più o meno qualificati, informazioni riservate quali: la notizia dell'esistenza di una indagine; l'indicazione della autorità procedente; il contenuto delle dichiarazioni rese da un soggetto nella parte in cui indicava chi erano i partecipi di una loggia massonica». Piercamillo Davigo stava commettendo un reato, e - per la sua storia, per la sua esperienza - sapeva bene cosa stava facendo. Invece ci lasciò andare a «irrituali e illecite confidenze».
In 115 pagine, depositate nei giorni scorsi, la Corte d'appello di Brescia spiega perchè Davigo, già cervello di punta del pool Mani Pulite, poi membro del Csm e presidente dell'Associazione nazionale magistrati, si merita per intero la condanna a un anno e tre mesi di carcere (con la condizionale) inflittagli per rivelazione del segreto d'ufficio. Quando il pm Paolo Storari gli portò i verbali sulla cosidetta «Loggia Ungheria», avrebbe dovuto fare una cosa sola: rifiutare di prenderli in consegna. Invece li accettò e li divulgò a destra e manca: compreso il presidente grillino dell'Antimafia Nicola Morra. Al quale, rimarca la sentenza di condanna, Davigo fece notare soprattutto un nome tra i componenti della Loggia: quello di Sebastiano Ardita, anche lui membro del Csm, suo alleato divenuto arcinemico dopo la spaccatura sulla nomina del nuovo procuratore di Roma.
Che il movente dello scomposto agitarsi di Davigo sia stato affossare Ardita, la sentenza non lo ritene provato (anche se condanna il Dottor Sottile" a pagare 20mila euro all'ex collega): ma prende atto che dopo avere letto i verbali di Storari, «Davigo senza necessità alcuna ha sapientemente portato a conoscenza di una serie di destinatari notizie coperte da segreto investigativo, pur consapevole di gettare una sinistra luce sull'operato della Procura di Milano e sui due colleghi del Csm Mancinetti e Ardita». Inconsistenti, per la Corte d'appello, sono le giustificazioni «di facciata» di Davigo, che dice di avere tramesso i verbali solo a interlocutori istituzionali, abilitati a riceverli. «L'inconsistenza della tesi si evidenzia con riferimento alla comunicazione dell'indagine alle collaboratrici d'ufficio dell'indagato, Marcella Contrafatto e Giulia Befera; non si vede francamente la ragione per la quale costoro dovessero essere messe al corrente del contenuto accusatorio riportato nei verbali dell'avvocato Amara». Giova ricordare che la Contrafatto, dopo avere ricevuto i verbali da Davigo, li mandò subito in busta anonima a Repubblica e al Fatto Quotidiano.
In modo singolarmente esplicito, i giudici che condannano Davigo si dissociano dai colleghi - sempre della Corte d'appello di Brescia - che hanno invece assolto Storari. Ma l'assoluzione di quest'ultimo è ormai definitiva.
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