«Lavoro al Trivulzio dal 1987, siamo abituati alle ondate... Ma posso testimoniare che è stato fatto il possibile per contenere i contagi e per tutelare pazienti e operatori. Noi non facciamo politica, lasciateci lavorare». La dottoressa Maria Cristina Neri è amareggiata. Come numerosi altri lavoratori della struttura nei giorni scorsi, ribatte alle accuse piombate sulla «Baggina», oggetto di un'inchiesta della Procura e di due Commissioni, una ministeriale e una regionale.
Continua il medico: «Non è vero che al personale veniva vietato di usare le mascherine. Da subito, comunque da fine febbraio, sono state date ai dipendenti immunodepressi e a quelli a contatto con pazienti con patologie respiratorie. Il problema è che all'inizio scarseggiavano (lo ha ammesso lo stesso istituto, ndr), come in molti ospedali. Poi abbiamo cominciato ad avere pazienti o interi reparti isolati e qui la cautela è massima, con tutti i dispositivi di protezione. Forse qualcuno si è sentito poco tutelato o addirittura discriminato, nel momento in cui gli è stato spiegato che le poche mascherine disponibili dovevano andare a chi ne aveva davvero bisogno». Poi i tamponi: «Un aspetto doloroso, vorremmo tutti farli, ma non è così semplice. La direzione li ha chiesti all'Ats, però non sono per ora arrivati. Tuttavia, al di là della positività accertata, i pazienti sospetti Covid sono stati subito isolati, con personale dedicato. Come i pazienti che si trovavano in camera con loro. Io mi sono offerta di sostituire un collega nella sezione Rsa e lì ci sono sei stanze isolate su circa venti». Gli altri nodi: «È falso che i parenti siamo tenuti all'oscuro, passo ore al telefono con loro, angosciati perché non possono vedere i propri cari. Ci sono mail, videochiamate, la comunicazione è costante. Le presunte cartelle manomesse? Lo escludo. E ogni radiografia è recuperabile in radiologia. Sono stata tra i medici incaricati di ritirarle dai reparti dalla direzione, proprio per sicurezza. Non è plausibile inoltre che un medico si dichiari non responsabile di una cartella che ha compilato e firmato». La dottoressa Neri smentisce anche che infermieri malati siano rimasti al lavoro: «Una grossa bugia - taglia corto -, da tre settimane misuriamo la febbre all'ingresso. E molti operatori sono stati messi in malattia o sollecitati a stare a casa se in dubbio. Comunque nel caso sarebbero loro stessi incoscienti, metterebbero a rischio prima di tutto i colleghi». Infine le cure ai pazienti, molti dei quali nelle ultime settimane sono purtroppo caduti sotto i colpi del Coronavirus: «È devastante per loro, anziani e spesso polipatologici. E una sconfitta per noi. Le prime polmoniti apparivano, secondo i parametri, di origine batterica e rispondevano all'antibiotico. Poi siamo stati investiti dall'epidemia virale. In ogni caso qui i pazienti ricevono le migliori terapie. A un certo punto ci è stato chiesto di trasferirli nei pronto soccorso già oberati con più raziocinio. Tuttavia io stessa li ho inviati al ps nei casi che lo richiedevano. Credo che il Pat non abbia commesso gravi errori. Sono fiduciosa che la magistratura confermerà questa valutazione personale».
La dottoressa non è l'unica operatrice sanitaria a stare dalla parte del Pat e a difendere i vertici dagli attacchi.
Nei giorni scorsi, tra l'altro, oltre una cinquantina di loro ha sottoscritto una lettera in cui medici e infermieri sottolineavano che l'istituto ha seguito le regole nel gestire l'emergenza. Lo ha ribadito ieri ai microfoni di Omnibus anche la dottoressa Nadia Antoniotti, internista alla «Baggina» da trent'anni.
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