
Autore di un ponderoso studio che non poteva essere più tempestivo, Il conclave e l'elezione del papa (Marietti 1820), Alberto Melloni è uno dei massimi esperti sui meccanismi di elezione dei pontefici nella storia. Segretario della Fondazione per le Scienze religiose, è ordinario all'Università di Modena e Reggio Emilia. Il suo saggio affronta le questioni che restano sul tavolo in vista del successore di Bergoglio.
Professore, cosa aspetta il prossimo Papa?
«Il successore di Francesco avrà a che fare con una serie di problemi che sono dipesi da fattori estranei al pontificato. Lui si era trovato ad affrontare il disordine sistemico che aveva flagellato il pontificato di Benedetto, tra fughe di notizie e furti di documenti, in un clima torbido che andava risanato. Adesso la Chiesa non è più in quella condizione, in compenso è minacciata da nemici più vistosi e visibili. La Chiesa crede in Gesù Cristo e nell'unità della famiglia umana, il che fa parte del dogma dell'incarnazione, non è certo una gentilezza egualitaria. Ma oggi all'unità della famiglia umana non crede più una certa parte di autorità, sia all'interno di culture democratiche, sia in contesti politici autoritari. È una questione con cui chiunque dovrà fare i conti».
Chi voterà per il suo successore terrà conto dell'agenda di Francesco nel conclave del 2013?
«Quella lo fece definire antitaliano e anticuriale. Oggi c'è un'incognita: i cardinali non si conoscono fra di loro, se non si vestono di porpora nessuno li identifica dall'esterno, vengono da ogni angolo del mondo e Francesco non ha fatto un concistoro per radunarli e metterli a confronto. Ricordo invece casi come quello del concistoro di Giovanni Paolo II in cui si discusse sul mea culpa della Chiesa, termine che non piaceva per nulla al cardinale Biffi. In compenso c'è stata una specie di depenalizzazione del vilipendio al Pontefice; chiunque si sentiva in diritto di definire Bergoglio eretico o comunista».
A proposito dell'omosessualità, la posizione di Papa Francesco andava dal «chi sono io per giudicare» alla «troppa frociaggine» nei seminari.
«Le questioni qui sono due: l'amore tra le persone dello stesso sesso e l'omosessualità come gestione occulta di autorità, le lobby gay dove un orientamento sessuale inconfessato e negato diventa la chiave di un assetto di potere. L'omosessualità non può avere un riconoscimento di tipo sacramentale e quindi Francesco ha detto no al sacramento e al matrimonio per legge fra omosessuali. Ma la posizione sulla priorità della questione non è unanime. Ci sono Chiese, come quella africana, per cui non lo è affatto».
Riguardo al matrimonio dei ministri e alle ordinazioni per gli sposati?
«Che uno debba stare nella condizione in cui era quando ha ricevuto la chiamata è un precetto apostolico. Ci sono le diacone, per dire, per cui la questione è già risolta. Il successore sarà avvantaggiato tuttavia, perché la decisione l'ha già presa Ratzinger; nell'Anglicanorum coetibus stabilì che i vescovi possano chiedere di ordinare prete anche le persone sposate. Il clero va rapidamente verso la sua estinzione numerica, ma Francesco non ha sfruttato l'occasione, forse pensava che i tempi non fossero maturi».
Poi ci sono le guerre aperte, a partire da quella in Ucraina. Ovvio che il pontefice sia per qualunque pace possibile, ma Francesco aveva parlato di «abbaiare della Nato»...
«Due cose. Prima: ha condannato il possesso delle armi atomiche. Aveva visto il rischio del disastro.
La sua posizione era a favore del disarmo. Seconda: il successore sarà favorito nell'idea che ci debbano essere sedi multilaterali nelle quali si fa diplomazia. Lui ha cercato una forma di bilanciamento che non fosse pura neutralità».
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