I suoi tre «no» pronunciati in sequenza e inascoltati fanno tanto venire in mente il «salga a bordo, cazzo» di Gregorio De Falco. Lui era nella Capitaneria di porto a Livorno la notte del disastro della Costa Concordia il 13 gennaio 2012 e si rivolgeva al capitano «fuggiasco» Francesco Schettino. Lei, Vincenza (detta Enza) Repaci la «dirigente di movimento» che era di turno alla sala controllo di Chivasso la sera del 30 agosto, quella della strage ferroviaria di Brandizzo, e parlava al telefono con Antonio Massa, il tecnico di Rfi deputato alla «scorta» del cantiere Sigifer, ora indagato insieme con il capocantiere Andrea Girardin Gibin. «L'ho detto per tre volte: i lavori non dovevano cominciare perché era previsto il passaggio di un treno». Le registrazioni confermano la versione fornita ai pm della Procura di Ivrea, dalla venticinquenne originaria della Val di Susa. Lunedì è stata ascoltata tutto il giorno ed è considerata la teste chiave dell'inchiesta sull'orrendo incidente che ha portato alla morte di cinque operai al lavoro sui binari. Con Antonio Massa la donna fu chiara e gli spiegò anche c'erano due fasce orarie per poter lavorare: dopo la mezzanotte e dopo l'una e mezza, quando era previsto il passaggio di un secondo convoglio.
«Deve passare un treno in ritardo», gli disse Enza in una prima conversazione. «Non potete farlo (i lavori, ndr) prima di mezzanotte», gli ripetè ancora in una seconda telefonata di richiesta di autorizzazione. E poi la terza, drammatica telefonata, in cui ai dubbi di Massa sul ritardo del convoglio merci in arrivo da Alessandria Repaci lo ferma ancora una volta: «Aspetta che chiedo». I ragazzi della Sigifer sono però già al lavoro sui binari. E a quel punto non c'è più il tempo di evitare la strage: il treno arriva ad alta velocità e travolge i cinque operai. Verosimilmente, in quel momento Massa è ancora al telefono con Enza. Che davanti agli inquirenti ricorda: «Ho sentito un colpo, come di una bomba. Poi è caduta la linea». A quel punto Repaci richiama Massa, che sotto choc si limita a rispondere: «Sono tutti morti».
Ora sotto choc è Enza che dopo l'incidente si mette in ferie, si allontana da tutto e stacca i telefoni per qualche giorno, fino alla convocazione in Procura di lunedì.
C'erano i genitori fuori ad attenderla, per le dieci interminabili ore passate da Enza davanti ai pm. È la madre a parlare e a esprimere orgoglio per quella figlia così attenta e determinata: «Sono stupita positivamente di come mia figlia abbia gestito la situazione quella notte». E al Corriere della Sera aggiunge: «Mia figlia non c'entra nulla con quello che è successo, lei ha fatto il suo lavoro. Noi non c'eravamo quando è avvenuto l'incidente. Ero preoccupata per la sua reazione, continuavo a chiedere a sua sorella come stesse, mi rispondeva che era tranquilla».
E tranquilla la descrivono anche i suoi colleghi come pure «appassionata del suo lavoro, scrupolosa, precisa.
È arrivata qui a Chivasso dopo un periodo di formazione ad Alessandria e d è dirigente di movimento da un paio d'anni». Eppure sembra che i suoi avvertimenti siano stati ignorati, caduti nel vuoto prima di quel fragore senza ritorno.
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