«Due cose sono chiare dopo la richiesta inviata all'Italia dalla Corte europea dei diritti dell'Uomo», ragiona Enrico Costa, deputato del gruppo Misto, da sempre acuto critico dei guai della giustizia italiana: «La prima è che l'avvocatura dello Stato non può dare a Strasburgo una risposta burocratica: bisogna entrare nel merito di quello che è accaduto nei processi a Berlusconi senza voler difendere a tutti i costi l'attività dei magistrati». E la seconda? «Che le domande poste dalla Corte investono in pieno non solo il caso Berlusconi ma l'intero funzionamento della giustizia italiana. Di questo si dovrà tenere conto, ora che si sta finalmente mettendo mano a un piano di riforme».
Eh sì: perché, lette in controluce, una parte rilevante delle dieci domande che Ksenija Turkovic, presidente della Prima sezione della Corte europea, ha rivolto al governo italiano sono altrettanti fari accesi su mali atavici della giustizia italiana. Prima fra tutto, la plateale disparità di potere tra accusa e difesa, la situazione di quasi totale soggezione alle Procure in cui si trovano gli indagati fin dal momento dell'arresto o dell'avviso di garanzia. Una condizione di inferiorità resa possibile solo dalla colleganza tra pubblici ministeri e giudici, uniti in una unica categoria e una sola carriera.
Ben pochi dei paesi che hanno sottoscritto la Convenzione europea, la Carta che è alla base delle decisioni della Corte di Strasburgo, conoscono una tale contiguità tra Procure e tribunali. Ed è assai probabile che sia l'anomalia italiana a ispirare le prime domande della croata Turkovic: le più delicate e potenzialmente esplosive, relative alla assegnazione del processo Berlusconi alla sezione feriale della Cassazione, presieduta dal giudice Antonio Esposito, anziché alla sezione competente per legge. Il sospetto della difesa Berlusconi è da sempre che non sia stato un errore ma una scelta precisa, guidata da un fronte che voleva a tutti i costi la condanna del Cavaliere: fronte composto tanto da giudici che da esponenti delle Procure.
È questo l'asse che si intravvede dietro la vicenda, una alleanza resa possibile solo dalla affinità tra magistratura inquirente e giudicante. Per rispondere appieno alle domande di Strasburgo, l'avvocatura dello Stato dovrebbe affrontare anche questo tema. Anche perché le dieci domande, a ben guardare, riguardano quasi tutte scelte compiute non dai pm ma dai tribunali: dal rifiuto dei rinvii per motivi di salute chiesti da Berlusconi, all'utilizzo di testimoni mai sentiti in aula, all'assegnazione dei fascicoli. Sotto a ciascuna di queste decisioni c'è la firma di un giudice, non di un procuratore.
È questo il motivo per cui di fatto, come spiega Costa, il risveglio della Corte di Strasburgo investe in pieno la stagione di riforme della giustizia annunciata dal nuovo ministro Marta Cartabia. Perché, stando almeno alle scarne anticipazioni trapelate finora, nel materiale che le commissioni nominate dal Guardasigilli stanno approntando, si parla di tutto tranne che di interventi strutturali destinati a ridurre il divario tra le potenze di fuoco dei due fronti del processo penale.
L'unico blando accenno al ridimensionamento del potere delle Procure, a quanto è dato capire, riguarderebbe nel progetto Cartabia la riduzione delle possibilità di appellare le sentenze di assoluzione: bilanciato peraltro da una riduzione analoga dei diritti delle difese. Anche sul versante del Consiglio superiore della magistratura, il luogo-simbolo della coabitazione di pm e giudici sotto lo stesso tetto, la riforma Cartabia non sembra destinata a usare il bisturi.
Eppure, ragiona ancora Costa, i margini ci sarebbero senza bisogno di mettere mano alla Costituzione: «Penso per esempio alla possibilità di costringere i magistrati a scegliere la loro funzione fin dal momento del concorso, con prove separate, e senza poter poi passare da un ruolo all'altro. Questa divisione si potrebbe tradurre senza alcuna modifica costituzionale anche all'interno del Csm, creando sezioni distinte per giudici e magistrati dell'accusa».
Ma c'è un altro punto su cui, leggendole bene, le domande di Strasburgo investono un tema cruciale della giustizia italiana: quando la Turkovic chiede spiegazioni sulla decisione del giudice Esposito di illustrare in un'intervista le motivazioni della condanna di Berlusconi prima ancora del deposito della sentenza.
È un passaggio che racconta bene anche la disparità di potere mediatico nel
campo giudiziario, cui vorrebbe porre un freno la proposta di legge del centrodestra contro le conferenze stampa-show all'indomani degli arresti. Marta Cartabia, almeno su questo fronte, raccoglierà l'allarme di Strasburgo?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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