Durante la crisi del debito sovrano dell'inizio del decennio scorso, il termine spread è diventato tristemente noto dalle nostre parti. Negli anni successivi è poi rimasto tra i parametri a cui guardare, non senza una certa ansia, per misurare l'affidabilità dei governi: ebbene, se è così, il governo guidato da Giorgia Meloni sotto questo punto di vista ha ottenuto risultati tangibili. Nel giorno dell'insediamento, il 27 ottobre del 2022, lo spread era superiore a 200 punti. Ieri, alla chiusura delle contrattazioni di Borsa, era a quota 116. Se si tracciasse un grafico, la linea suggerirebbe una discesa più o meno costante nel tempo. Non si tratta di noccioline, anche perché lo spread misura il differenziale di rendimento tra i titoli di Stato italiani decennali (i Btp) e gli omologhi tedeschi (i Bund), che sono considerati il punto di riferimento perché ritenuti i più affidabili.
Più la forbice si stringe, più l'Italia chiude il gap con i migliori in Europa. Questo differenziale un po' per demeriti dei tedeschi (che hanno un'economia in difficoltà e un'insolita instabilità politica), ma soprattutto per meriti italiani, si è ridotto di quasi cento punti. Le conseguenze di tutto questo sono che l'Italia spende meno per finanziarsi sui mercati: tant'è che, secondo le stime dell'Ufficio parlamentare di bilancio, il calo dello spread registrato negli ultimi mesi porterà risparmi per 17,1 miliardi di euro nel prossimo quinquennio 2025-2029. Una cifra che è stata sottolineata dallo stesso ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, architetto della politica di bilancio prudente dell'Italia.
Ma siccome non di solo spread vive un'economia, vale la pena allora ricordare come il tasso di disoccupazione a ottobre (l'ultimo dato Istat disponibile) è sceso al 5,8%, a livelli più bassi dal 2007 (ultimo anno prima della grande crisi finanziaria) e il dato sull'occupazione totale, storico tallone d'Achille dell'Italia, ha raggiunto il record storico per il Paese a quota 62,5 per cento. Non è poi da dimenticare la crescita del Pil, che pure in un contesto difficile in questi anni post Covid ha continuato ad avanzare come o più velocemente della media europea (anche più di Francia e Germania). Tant'è che, finalmente, la ricchezza prodotta ogni anno in Italia a metà del 2024 ha superato quella del 2008, ovvero l'ultimo anno prima della grande crisi economica della Lehman Brothers.
Rimane la sfida del debito pubblico elevato (intorno al 134% del Pil) che è un'eredità difficile con cui fare i conti quando si tratta di trovare risorse per la manovra. Eppure anche nell'ultima legge di bilancio sono stati trovati 14 miliardi per rendere strutturale il taglio del cuneo fiscale e l'accorpamento delle aliquote Irpef in tre scaglioni. Misure, quest'ultime, che certo hanno dato un contributo al recupero del potere d'acquisto delle famiglie, una sfida importante da vincere dal momento che le fiammate inflattive del biennio 2021-2022 hanno eroso la capacità di consumare degli italiani.
Ultimi, ma non per importanza, vanno citati i miglioramenti delle agenzie di rating che, forse con un ritardo sottolineato anche dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, stanno vedendo i miglioramenti economici del Paese.
E così a ottobre le americane Fitch ed S&P Global Ratings hanno confermato l'Italia tra i Paesi investment grade (ovvero i più affidabili) e migliorando il loro outlook, vale a dire le prospettive, da «stabile» a «positivo». Un'apertura di credito a cui in molti, un paio d'anni fa, non avrebbero creduto.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.