Forse addolcita dallo splendore rinascimentale di Firenze, Angela Merkel lascia ad altri il compito di sparare ad alzo zero sul piano da 60 miliardi di euro al mese varato giovedì dalla Bce. L'opera di demolizione del neonato quantitative easing è affidata ai soliti noti, l'irrefrenabile ministro dell'Economia, Wolfgang Schaeuble, e l'irriducibile capo della Bundesbank, Jens Weidmann. Con ogni evidenza, alla Germania non è bastato mandare a gambe all'aria quell'idea di compartecipazione del rischio tanto cara al governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. Che ancora ieri - al Forum di Davos - faticava a trattenere la propria irritazione per quel compromesso che carica sulle spalle delle singole banche nazionali l'80% delle perdite eventuali sugli acquisti effettuati dall'Eurotower. «I rischi vanno condivisi», è il parere dell'inquilino principe di via Nazionale.
Battibecchi che, almeno per il momento, non sembrano scuotere i mercati. L'euro ha continuato anche ieri la sua parabola discendente chiudendo a 1,125 dollari, lo spread è calato a 116 punti e le Borse sono salite ancora, anche se Milano ha limitato il rialzo a un +0,24%. In fondo, anche su una materia con molti dettagli tecnici ancora oscuri, è sempre una questione di punti di vista legati alle rispettive convenienze. Per la Germania, il Qe continua a essere indigeribile perchè viene considerato come una sorta di lasciapassare, concesso ai Paesi del Club Med, per continuare a commettere gli errori di sempre. Dice secco Weidmann: «Il quantitative easing della Bce rischia di mettere un freno alle riforme in Italia e Francia». Replica secco Visco: «No, non penso che sia così». La Buba, peraltro, teme anche che vengano trascurati i consolidamenti di bilancio: «Potrebbe crescere la pressione politica su di noi, per mantenere a lungo il peso dei tassi basso», spiega Weidmann. Al pari dell'inflazione, quella dei tassi schiacciati verso il basso è un'ossessione tedesca: nasce dal timore che una politica monetaria così lasca impatti sulla stabilità e sulla sostenibilità dei suoi fondi pensione, il cui peso è fra i più alti dell'eurozona.
Eppure, c'è qualcosa che fa apparire un po' stonato il mugugno della Germania. Per esempio, in base all'articolo 32 dello Statuto dell'istituto centrale, i redditi monetari realizzati da Bankitalia o dalla Banca di Spagna attraverso il Qe saranno dirottati alla Bce, messi quindi in comune, e poi redistribuiti in proporzione alla quota di ciascuna banca centrale nazionale dell'eurozona nel capitale della Bce. E alla Bundesbank andrà grosso modo il 25% di questa cedola, ovvero un valore pari alla sua quota nel capitale Bce ricalcolata escludendo i Paesi non aderenti all'euro, come la Gran Bretagna. Per l'Italia la quota è intorno al 17%, per la Francia al 20% circa.
Ma a Schaeuble non basta: «Mi sembra di capire che anche Draghi non crede che la crescita dipenda dall'operazione di Qe». In realtà, Draghi ha solo fatto osservare come anche una mossa senza precedenti e potenzialmente illimitata come quella decisa l'altroieri, perda di efficacia se non è sostenuta dall'azione dei governi. Semmai, ci si potrebbe chiedere se davvero le banche gireranno all'economia reale, cioè a famiglie e imprese, la liquidità aggiuntiva derivante dalla vendita a Francoforte dei bond sovrani che tengono in pancia.
Il semi-flop dei prestiti Tltro, lanciati dalla Bce tra settembre e dicembre 2014 per aiutare la ripresa economica e snobbati dalle banche (appena poco più di 210 miliardi chiesti), non è certo un precedente incoraggiante.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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