Con i vulcani si convive. I catastrofismi inutili non salvano alcuna vita

Da sempre l'uomo costruisce case in zone a rischio. E ha piani per evacuare

Con i vulcani si convive. I catastrofismi inutili non salvano alcuna vita
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L'umanità farebbe prima a lasciare il Pianeta, se dovesse abbandonare tutte le zone vulcaniche: quindi va bene promuovere piani di evacuazione, o ripetere che le case andrebbero costruite secondo regola (anche in assenza di vulcani) ma fare del catastrofismo, come fa il geologo «for dummies» Mario Tozzi (il Corriere della sera ha ripubblicato una sua intervista) in pratica serve a zero. Il divulgatore popolare ieri ha ripetuto che nel caso dei Campi Flegrei «dovremo parlare di esodo, non di evacuazione», che «piuttosto che persuadere la gente ad andar via, abbiamo invogliato a viverci», che «contro le eruzioni esplosive l'unica cosa da fare è andarsene».

Forse su Marte, considerando che la zona più vulcanica del mondo resta la «Ring of fire» del Pacifico che è lunga 40mila km e comprende l'intera Indonesia (240 milioni di abitanti) oltre alle Ande, al Cile, l'Alaska, l'Oceania, il Giappone e altre nazioni da evacuare perché continueranno a essere interessate da terremoti ed eruzioni anche terrificanti: basti che i principali eventi sismici avvenuti tra 1900 e 2013 (fonte: United States Geological Survey) si trovano quasi tutti all'interno di questa cintura, tra questi l'eruzione del Tambora del 1815, del Krakatoa del 1883, del Saint Helens nel 1980 e senza contare i terremoti più distruttivi mai visti. Non è finita: nel mondo oltre ai Campi Flegrei ci sono altri tre cosiddetti «supervulcani» (due negli Usa, in Wyoming e in California, e uno in Nuova Zelanda) e che fanno, da quelle parti, quando non costruiscono? Ci mandano i turisti. Come sul Vesuvio, che dopo la celeberrima eruzione del 79 d.C. ha eruttato almeno un'altra quarantina di volte (nel 472 le ceneri arrivarono sino a Costantinopoli, l'attuale Istanbul) o sull'Etna, dove nel 1669 ci fu l'eruzione considerata la più devastante in epoca storica e che seppellì decine di centri abitati e giunse a Catania.

Ma restiamo ai Campi Flegrei e al geologo Tozzi (un tipo vulcanico) che è scatenato: oggi c'è un suo allarmato articolo sulla Stampa, ma ancora in luglio, su Tiscali, dopo la scossa di due mesi prima, sfidò i canoni partenopei della scaramanzia: «Non possiamo neppure sapere se, nel caso, sarà una eruzione devastante come quella di 15mila anni fa che generò lo strato del tufo giallo napoletano con cui è stata costruita in gran parte la città di Napoli, un evento veramente micidiale». Non possiamo saperlo. Ergo il piano di Tozzi, forse, è terrorizzare, perché su questo la dice giusta: «Gli enti preposti hanno fatto perfettamente il loro lavoro, hanno predisposto un piano e preparato il materiale per le esercitazioni. Però occorre partecipare. Non devono andarci solo poche persone». A proposito, quanta gente coinvolgerebbe un risveglio dei Campi? Le cifre, anche nelle interviste o articoli di Tozzi, oscillano da 500mila a un milione e mezzo. Eppure nel febbraio scorso Giulio Zuccaro, responsabile del centro vulcanico della Protezione civile, a Radio 24, disse che nella zona d'intervento dei Campi Flegrei, interessata da potenziali deformazioni del suolo, vivono non più di 85mila persone. E qualcosa non quadra, si getta acqua sul vulcano.

Forse è colpa dei giornalisti.

A Mario Tozzi, che mentalmente è una caldera, l'intervistatore di Tiscali l'aveva posta così: «La parola speculazione ci sta in questo discorso? Ma perché si è edificato sopra una caldera vulcanica, perché in Italia si costruisce spesso dove la natura dice di no?». Nostra risposta: non in Italia, ma su tutto il Pianeta. Colpa dell'incoscienza di chi è sceso dagli alberi e ha lasciato le caverne, anche dove (dappertutto, persino a Napoli) la natura diceva di no.

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