
Il non più sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, si trova da ieri in un carcere di massima sicurezza a Marmaras, come se fosse un narcotrafficante. Un crollo democratico, questo, che potrebbe essere anche finanziario. Doppio è il sapore della domenica di proteste e di caos in Turchia dopo le primarie del Chp e l'ennesima manifestazione di chi proprio non vuole adeguarsi all'eliminazione per via giudiziaria degli avversari politici, accanto a dati inquietanti sulla lira turca e l'allarme rosso suonato nelle banche del paese.
Partiamo dalla piazza, ancora una volta termometro di ansie e provvedimenti del governo. Manifestazioni, cortei, scontri, arresti. Migliaia di persone, tra studenti, lavoratori, semplici cittadini indignati si sono presentati dinanzi alla sede del tribunale, nelle piazze di Istanbul, nei pressi di quel santuario di oppressione che si chiama Gezi Park: gli agenti di polizia hanno risposto con lacrimogeni, idranti, persino con spray al peperoncino sparato su un dimostrante che indossava abiti da derviscio. Oltre al sindaco, altre 47 persone sono state incarcerate in attesa di processo.
Imamoglu si definisce vittima di una «esecuzione senza processo», una denuncia che affida al suo profilo X, rimasto ancora attivo a differenza di altri, appena dopo che il ministero degli Interni comunica la sua sospensione dall'incarico di primo cittadino. «Oggi la Turchia si è svegliata e ha scoperto un tradimento profondo precisa - Invito la nostra nazione a lottare per i propri diritti. Questa battaglia è cruciale per il futuro della nostra Nazione e dei nostri figli». I giudici lo hanno rinviato a giudizio con l'accusa di essere stato corrotto con 500 milioni di lire turche e rischia fino a 2 anni carcere. Caduta invece l'accusa di «associazione con il terrorismo». Il Partito Popolare Repubblicano ricorrerà contro la decisione del tribunale, ha affermato il leader Ozgur Ozel, aggiungendo che il caso è una cospirazione e ha motivazioni politiche.
Si fa sentire l'Ue che chiede ad Ankara di tutelare «tanto i diritti degli eletti quanto il diritto dei cittadini a manifestare pacificamente». Secondo un portavoce della Commissione europea «gli arresti sollevano seri interrogativi sul rispetto, da parte della Turchia, della sua consolidata tradizione democratica. In quanto membro del Consiglio d'Europa e Paese candidato all'adesione all'Ue, la Turchia ha il dovere di rispettare i valori democratici». Ma sul Bosforo non fa alcun effetto, anzi il governo nega che le indagini siano motivate da ragioni politiche e prolunga il divieto di assembramenti in strada per altri quattro giorni su tutto il territorio nazionale. Al momento 6 dei 27 sindaci guidati dal Chp sono agli arresti e, quindi, fuori gioco.
Intanto i mercati stanno reagendo, male, alla profonda destabilzzazione del paese, già zavorrato nel triennio pandemico da un crollo verticale della moneta locale accompagnato da una pesante inflazione ma anche da un corposo intervento esterno, con iniezioni ad hoc di capitali. Questa volta però, secondo quanto riportato dal Financial Times, la banca centrale ha immesso 11,5 miliardi di dollari per difendere la lira dopo il tracollo determinato dall'arresto del sindaco.
Mai si era verificato un intervento così massiccio da parte dall'istituto turco, ma la borsa ha fatto segnare il peggior risultato dal 2008 ad oggi, con la fiducia degli investitori ormai ai minimi. Infine le proiezioni per il 2025 sui tassi di inflazione che consegnano un quadro nefasto: al primo posto nel mondo, infatti, c'è la Turchia con il 31,4%.