"Incentivi al risparmio e altolà patrimoniale. Soltanto così si riparte"

Il presidente Abi: "Per favorire gli investimenti serve un nuovo fisco seguendo la lezione Einaudi"

"Incentivi al risparmio e altolà patrimoniale. Soltanto così si riparte"

Gli italiani continuano a risparmiare ma tengono i soldi sotto il materasso. Quasi 1.800 miliardi sono fermi sui conti correnti, rendono niente e non vanno nell'economia. Antonio Patuelli, presidente dell'Associazione bancaria italiana: quanto è grave questa situazione per il sistema?

«C'è una ripresa di fiducia in Italia che deriva prima di tutto dai fondi europei. Questi sono indispensabili ma non sufficienti per trasformare il rimbalzo in una forte ripresa o addirittura in un miracolo economico. Per fare questo passo in più servono anche gli investimenti privati: bisogna attrarre risparmi italiani e investimenti esteri».

Come si fa?

«Le premesse stanno in parte negli adempimenti previsti dal Pnrr. E nella riforma della giustizia civile, che è la più attesa dagli investitori esteri che chiedono di dare certezza del diritto all'economia. Ma in più bisogna favorire la trasformazione del risparmio in investimenti».

Da dove partire?

«Innanzi tutto distinguendo il concetto di rendimento da quello della rendita. Il rendimento è frutto di un investimento a rischio e quindi, quando non è speculativo ed è a medio e lungo termine, va fiscalmente agevolato. Gli investimenti stabili, prospettici e non speculativi devono essere favoriti».

È una proposta politica.

«Io confido molto nell'autunno, quando il governo affronterà la riforma fiscale, probabilmente in parallelo con la legge di bilancio. E c'è un punto chiave da cui partire».

Dica.

«Occorre una verifica comprata con gli altri Paesi europei. Il grado di pressione fiscale sugli investimenti va misurato sommando tutto: la pressione fiscale sulle imprese data dall'Irap, quella sugli utili dell'impresa (l'ires) e quella della ritenuta d'acconto (la cedolare secca del 26%) sugli utili distribuiti. È da questa somma che deriva il reale gravame fiscale sulle attività economiche, non dalla SOLA cedolare secca, che rappresenta solo l'ultimo miglio».

Obiettivo?

«Per attirare capitali in Italia e spingere i nostri risparmiatori a investire su imprese nazionali, oltre alla certezza del diritto dobbiamo avere una condizione favorevole nella somma di tutte le imposte».

Provi a elencare le cose da fare.

«La prima è incentivare maggiormente gli utili reinvestiti dalle imprese; la seconda è incentivare il risparmiatore, riducendo le aliquote fiscali sugli investimenti in base alla durata: oggi il piccolo cassettista paga la stessa aliquota dello speculatore professionista; la terza è dire chiaramente no a qualsiasi ipotesi di patrimoniale».

Ma è così sicuro che il risparmio sia fermo solo per motivi fiscali? Non contano anche i costi a volte esorbitanti di banche e gestori?

«Per i risparmiatori italiani vale sempre la definizione di Einaudi: hanno orecchie da elefante, cuore di coniglio e gambe di gazzella. Cioè, capisce tutto, ma è timoroso e pronto a scappare via. Quindi va rispettato ma bisogna offrirgli le condizioni che chiede. E la pressione fiscale è un elemento decisivo, soprattutto quando va a confrontare i fondi italiani con quelli esteri, fabbricati in paesi che attirano di più».

Dobbiamo diventare fiscalmente più concorrenziali?

«Siamo in una Ue fiscalmente competitiva, è una questione fondamentale. La concorrenza sui costi è assoluta e totale. Ma poi i costi di gestione si sommano allE pressionI fiscali. E queste sono sempre un elevato multiplo dei costi. E la liquidità va dove ci sono le migliori condizioni.

Insomma, dovremmo diventare, se non Paradiso, almeno un Purgatorio fiscale?

«Guardiamoci intorno: lo Stato può essere più competitivo rispetto alla pressione fiscale di

altri Paesi, soprattutto nella Unione Europea. Abbiamo la sovranità nazionale sulle imposte: usiamola, andando incontro al risparmiatore che dice Einaudi. Ed evitando di parlare di patrimoniali, che ce ne sono già troppe».

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