Infermiera uccisa: lui voleva sposarla per la cittadinanza

L'ha ammazzata perché lei aveva voluto interrompere la loro relazione, mentre lui avrebbe voluto sposarla per riuscire ad ottenere la cittadinanza

Infermiera uccisa: lui voleva sposarla per la cittadinanza
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L'ha ammazzata perché lei aveva voluto interrompere la loro relazione, mentre lui avrebbe voluto sposarla per riuscire ad ottenere la cittadinanza. Sarebbe questo, per il pm Claudia Alberti, il movente del delitto di Rossella Nappini, l'infermiera 52enne uccisa lo scorso 4 settembre nell'androne del palazzo in zona Trionfale, a Roma, in cui viveva con le due figlie e l'anziana madre, dal suo ex compagno, l'operaio marocchino Adil Harrati, di 45 anni.

Ieri è cominciato il processo davanti alla prima Corte d'Assise della capitale. L'imputato, per il quale la Procura ha chiesto e ottenuto il giudizio immediato, è accusato di omicidio aggravato dalla premeditazione e dall'avere agito per motivi abbietti e futili, con crudeltà contro una persona «a cui era legato da relazione affettiva cessata». Per motivare le aggravanti, il pm ha spiegato ai giudici che l'uomo si è accanito sull'infermiera con cinquantasei coltellate perché la sua decisione di mettere fine al rapporto aveva mandato in fumo i suoi progetti: «L'imputato sperava nel proseguimento della relazione, si era ipotizzato un matrimonio che consentisse la regolarizzazione della posizione. La chiusura della relazione, e dunque la vanificazione dell'intento dell'Harrati, è stato uno dei motivi dell'omicidio».

I due si erano conosciuti in occasione di alcuni lavori che la donna aveva fatto a casa sua, dove si era trasferita a vivere da poco. Erano stati insieme per un po', poi lei lo aveva lasciato, lamentandosi con le amiche dell'atteggiamento persecutorio del 45enne. Non lo aveva però mai denunciato. Harrati non aveva mai metabolizzato la decisione di interrompere il rapporto, anche perché - si scopre ora - senza matrimonio non sarebbe mai diventato italiano.

Quel giorno l'operaio era andato sotto l'abitazione della sua ex compagna con un coltello, quindi con l'intenzione di ucciderla. Per questo gli sono state contestate le aggravanti. L'infermiera era uscita di casa per andare a prelevare dei soldi al bancomat e se l'è trovato davanti. Non è chiaro cosa si siano detti i due. Sicuramente lui l'ha aggredita con violenza inaudita, sferrandole decine di coltellate che non le hanno lasciato scampo.

Nel processo sono stati ammessi come parti civili le figlie della vittima, la mamma e la sorella. Anche l'associazione «Insieme a Marianna», rappresentata dall'avvocato Licia D'Amico, e l'associazione italiana vittime vulnerabili di reato.

«Vogliamo il massimo della pena», hanno detto i familiari al termine dell'udienza. La prossima è fissata per il 29 maggio, quando verranno sentiti in aula gli investigatori della Squadra Mobile che hanno condotto le indagini.

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