"Insegnando inglese qui in Italia ho trovato l'America"

John Peter Sloan è riuscito fare appassionare i nostri connazionali alla sua lingua. "Non siete stupidi, era sbagliato il metodo..."

"Insegnando inglese qui in Italia ho trovato l'America"

Li vedeva, gli studenti sui banchi. «Gli italiani vanno a lezione di inglese come io vado dal dentista: ok, devo farlo, mi dico. Apro la bocca e pago». Gli studenti però (giovani e adulti) neanche la aprivano la bocca: muti come pesci e sorridenti come avessero capito tutto, non lo interrompevano mai, non imparavano niente. Così John Peter Sloan (giònpèèète, come lo chiamano a Napoli) si è inventato un metodo per riuscire in una impresa donchisciottesca: insegnare l'inglese agli italiani. Appassionarli, perfino. I suoi colleghi non l'hanno incoraggiato. «Mi dicevano: guarda che agli italiani non importa niente dell'inglese». Risultato: un bestseller da centomila copie in un anno ( English da zero , Mondadori); un altro libro appena uscito ( English express , il seguito); un locale in centro a Milano e uno che sta per aprire a Roma; apparizioni in tv; una scuola di inglese.

Davanti a Sloan Square, il suo caffè di fronte all'Ago e filo in piazza Cadorna, la gente lo ferma, lo indica, lo riconosce. Come una celebrità. «Quando ho iniziato venivo da diciassette anni di palco, usavo un modo interattivo, comunicativo col pubblico. Nel mio metodo c'è l'umorismo, c'è il gioco». E poi Sloan, quarantacinquenne di Birmingham che girava l'Europa col suo gruppo e quindici anni fa si è fermato nel nostro paese per amore («ho mollato la musica per mia figlia»), ha pensato a che cosa non andasse nel rapporto infelice fra gli italiani e l'inglese, che cosa bisognasse cambiare: «L'italiano è stupido? Ma dai. L'Italia ha dominato il mondo in tutto, gli italiani con la loro creatività dovrebbero essere i numeri uno». Macché. Sono i peggiori. «Non proprio. In una classifica di 44 paesi sono arrivati penultimi, meglio solo dei kazaki. E io infatti dico sempre: meno male che c'è il Kazakhstan». Però stanno dietro a tutti gli altri. «Perfino dopo la Spagna. È imbarazzante». Quindi Sloan ha fatto due più due, il genio italico e l'inabilità con l'inglese e ha dedotto che il problema non fossero gli studenti, bensì gli insegnanti e il loro metodo. «Ho cambiato l'ordine della grammatica, perché era pensata per gli inglesi: un italiano impiegava mesi per riuscire a costruire una frase. E si scoraggiava». Ora «il 90 per cento delle mail mi arriva da insegnanti che mi ringraziano, perché non sapevano come fare».

C'è anche che gli italiani «imparano un cattivo inglese e pure tardi»: a 7 anni, quando un bambino olandese conosce già tre o quattro lingue alla perfezione («sono stato in Olanda per copiare, mi sono spaventato da quanto parlino bene, tutti, anche chi vende aringhe al chioschetto, i bambini guardano i cartoni in inglese e soprattutto l'inglese è figo: è la lingua di Madonna, di Beckham»), in Italia «cominciano con 1-2-3, uno che mastica l'albero dico sempre». Inutile. I risultati (non) si vedono. «Mi fanno impazzire gli adulti, quelli che non ce l'hanno mai fatta a imparare e dicono: ma tanto l'inglese non serve più, la lingua del futuro è il cinese. Come se fosse facile». Il fatto è che «l'italiano non si butta, ha paura di sbagliare: e così non si può imparare una lingua». Lui ora si auto-testerà: tre settimane da studente di spagnolo, col suo metodo, per il prossimo libro, Espanol da zero (che uscirà nel 2015). «Devo imparare per forza». Ai suoi studenti insegna anche a litigare («vi immaginate un italiano che non possa litigare?»), le parolacce («per farsi rispettare») e poi che l'accento non va perso: «Perché perdere l'accento italiano? Per me e molti stranieri è bello, è attraente, caratteristico.

E poi un italiano si tradisce comunque: mentre parla usa sempre le mani». Sloan dice che non lascerebbe mai l'Italia, e un giorno un signore «un po' invidioso» gli ha fatto notare: «Ci credo, qui ha trovato l'America». «Ma io rispondo: anche voi italiani avete trovato l'America in me».

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