Elon Musk ha visto un altro pezzo di futuro e questa volta non desidera avvicinarlo. Fa un passo indietro e si ritrae, come chi guarda sorpreso e inquieto la propria immagine allo specchio. Non solo non si riconosce, ma para le mani spaventato, quasi inorridito. Cosa c'è davanti? Quando ha investito miliardi di dollari su OpenAi, l'impresa visionaria che ha messo in cantiere lo sviluppo dell'intelligenza artificiale, qualche timore etico lo aveva, ma lo ha lasciato in periferia, troppo preso dalla metamorfosi biovirtuale, con un approdo nella terra dei cyborg, con impianti cerebrali in grado di accelerare l'intelligenza umana. Musk non ha mai avuto paura di quello che potrebbe accadere. Non ha mai scartato un orizzonte. Ora fa qualcosa di inatteso. Scrive. Scrive una lettera sul Financial Times, con più di mille firme a fargli compagnia, per suggerire uno stop. Fermiamoci. Prendiamoci una pausa. Chiediamo a tutti i laboratori di intelligenza artificiale di fermarsi immediatamente per almeno sei mesi». Non sembra una mossa alla Musk per attirare l'attenzione. C'è qualcosa di più. È tutto quello che va al di là del presente, ben più oltre di «Chat GPT-4», lo scrivano con cui ci divertiamo di questi tempi. È la metamorfosi umana. È il passaggio dall'uomo fabbro a l'uomo inutile, passando per quello ludico.
Inutilità. E se fosse questo il destino? L'intelligenza, quello che tutto muove, finisce altrove, non nello spirito, non nella carne, ma nelle macchine, ovvero calcolo, algoritmi, apprendimento, virtualità e perfino un pizzico di fantasia. Qui non si parla di una sostituzione, perché la macchina non può prendere il posto dell'uomo. Non c'è uno scontro di specie, l'organico che cede all'inorganico. È solo una integrazione, dove c'è comunque da definire quale sarà il posto dell'uno e dell'altro, cosa diventa centrale e cosa invece periferico. Non il replicante ma l'aiutante, quello che calcola con una velocità che non sappiamo raggiungere, quello che prevede, suggerisce, ci affianca, con la precisione che riduce gli errori, quello che fatica al posto nostro, senza sentire la fatica. È lui, senza problemi di coscienza, che cambia profondamente la struttura della società. È lui il soggetto che ci rende ogni attimo un po' meno utili. È lui che ci regala tempo e toglie lavoro. Non è un ragionamento da luddisti. È la realtà quotidiana. È l'operaio, il tassista, il camionista, il badante, il cameriere, l'insegnante, il muratore, il revisore dei conti, l'idraulico, l'elettricista, il bancario, il rappresentante, il postino e qualsiasi colletto bianco, il tecnico di qualsiasi cosa e sì, anche il giornalista e affini. Ci saranno altri lavori? Forse, ma non copriranno quelli persi. Cosa accade se nella equazione del capitalismo si defila il salario? Se a lavorare saranno soprattutto le macchine?. C'è già un nome: capitalismo quattro punto zero. I nomi non dicono però tutto. Come si sa il salario diventa consumo. Guadagno e spendo. Alimento il mercato. La spesa spinge la produzione. La produzione crea lavoro. È la logica dell'economia di mercato. Se togli un pezzo però qualcosa non torna. C'è bisogno del consumatore e per averlo serve il salario. La soluzione sembra essere già qui. È il reddito universale di cittadinanza. La macchina lavora, il salario ti arriva dallo Stato, il consumo in qualche modo è assicurato, il profitto è salvo. È un racconto chiaramente schematico.
L'aspetto interessante è il costo «rivoluzionario» del reddito universale di cittadinanza. Lo Stato ha in mano la tua sopravvivenza. La tua vita dipende totalmente da lui, da loro, da chi ha il potere. E sarà ancora uomo su uomo.
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