«Ma che cosa avrei dovuto fare? Litigare con lui, insultarlo, dirgli che è un mostro? Che cosa avrei ottenuto? Che si sarebbe alzato e se ne sarebbe andato e io avrei avuto solo cinque minuti di celebrità. Invece il mio lavoro è trovare le notizie, e mi sembra che ne abbiamo avute tante. Non è mio compito fare la guerra alla Russia, io faccio il giornalista». Così Giuseppe Brindisi risponde a tutti quelli, tanti, che si sono infuriati per l'intervista che il conduttore di Zona Bianca ha fatto domenica sera al ministro russo degli Esteri, Sergej Lavrov, su Rete 4. Uno scoop internazionale, la prima intervista rilasciata dal braccio destro del presidente Putin a una tv europea, giudicata «un'onta per l'Italia» (dal leader del Pd Enrico Letta), «pura propaganda», «comizio senza contraddittorio» (da vari esponenti della sinistra).
Prima di tutto, come sei riuscito ad ottenerla?
«Ci siamo arrivati attraverso un canale che non voglio rivelare perché contiamo che ci aiuti per ottenere altri incontri importanti. La redazione ci ha lavorato per tre settimane».
Per averlo ospite avete acconsentito a domande concordate?
«C'era solo un accordo di massima sui main topics, gli argomenti principali, ma senza limitazioni su eventuali aggiunte o repliche. Ci sono politici in Italia che vogliono sapere prima le domande in maniera precisa».
L'hanno accusata di non aver contraddetto Lavrov, di non aver confutato le sue «fake news».
«Non è vero. Più volte l'ho interrotto. Per esempio sulla questione del proposito russo di denazificare l'Ucraina e sulle prove dei crimini commessi a Bucha. Lui ha anche perso la pazienza. Ma se io ho davanti il ministro degli Esteri russo, colui che ha in mano le chiavi di questa guerra, il mio compito è sentire il suo punto di vista, che è quello di Putin e di parte del popolo russo, anche per comprendere meglio il loro modo di ragionare. Il mio pensiero o la mia battaglia personale non contano».
E perché Lavrov avrebbe scelto proprio «Zona Bianca»?
«Questo dimostra la nostra buona fede. Noi, tra tutti i talk, siamo quelli più schierati a favore dell'Ucraina, senza se e senza ma. Nel sottopancia scriviamo Kyiv e non Kiev per sottolineare la vicinanza, abbiamo avuto ospiti molti esponenti politici ucraini. E, nonostante questo, il ministero russo ci ha giudicato una testata attendibile a cui affidare le proprie opinioni».
Israele ha convocato l'ambasciatore russo per le parole «Zelensky è ebreo? Anche Hitler lo era». Per il presidente del museo dell'Olocausto Dayan sono affermazioni «false, deliranti e pericolose».
«È venuto fuori quello che Lavrov pensa sugli ebrei nella sua durezza e illogicità. Non spetta a me giudicare, ma far emergere le cose».
Il Ppe ti ha criticato e se ne occuperà il Copasir.
«Io non ho nulla da rimproverarmi, non mi sono piegato. Rispondo alla mia coscienza e al mio editore che mi ha confermato la fiducia».
Ora verrà messo nel «girone» dei pro-putiniani.
«Trovo incredibile che coloro che denunciano ogni giorno la mancanza di libertà e le dittature, poi invocano la censura in Italia. Io sono stato insultato e minacciato dai pro-Putin, ora sono insultato e minacciato dai pro-ucraini, se non vai bene a nessuno hai la certezza di non essere di parte».
Ha dato fastidio anche il buon lavoro augurato alla fine dell'intervista al ministro del Paese che bombarda l'Ucraina.
«Ma la frase era buon lavoro nel tentativo di arrivare alla pace. E comunque se io ho un ospite è galateo salutarlo».
L'elemento più importante uscito dall'incontro è la rabbia di Lavrov per le
posizioni dell'Italia schierata con l'Ucraina.«Infatti. In molti invece di prendersela con me, in molti dovrebbero chiedersi come mai in Russia si sorprendono che il nostro paese non comprenda le ragioni di Putin».
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