"Io il suo erede politico? Vicini, ma inimmaginabile"

Il leader Iv: "È stato un fuoriclasse inimitabile, non può avere un delfino. Su tasse e lavoro avevamo idee simili"

"Io il suo erede politico? Vicini, ma inimmaginabile"
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Senatore Matteo Renzi, oggi ha deciso di titolare il «Riformista» così: «Come te non c'è nessuno». Perché?

«Sono stato un suo avversario politico. Silvio Berlusconi ha segnato la fine del mio governo, con la rottura del patto del Nazareno e il suo no al referendum costituzionale. Ma proprio per questo posso parlare con libertà: Berlusconi non è stato solo uno spartiacque ma un pilastro della storia di questo Paese. Chi non lo riconosce è in malafede. Ha innovato la politica ma anche il calcio, la Tv, l'edilizia, l'imprenditoria. Contenerlo in una definizione è impossibile prima che inutile. Un grande italiano, nel bene e nel male: un fuoriclasse straordinario».

Fin dal vostro primo incontro ad Arcore la hanno accusata, dalla sinistra del suo partito fino a Marco Travaglio, di essere un «clone di Berlusconi», come marchio di infamia estremo.

«L'ennesima dimostrazione di un furore ideologico che è stata la dannazione di una sinistra, che anziché capire il fenomeno berlusconiano e provare a sconfiggerlo sui contenuti politici ha inseguito scorciatoie giudiziarie. Mi invitò ad Arcore quando ero sindaco di Firenze e lui presidente del Consiglio, e io mi ci fiondai e riuscii a portare a casa ottimi risultati per la mia città. Fu un'occasione estremamente piacevole: incontrai il Berlusconi in purezza, quello del Milan e dell'ottimismo al governo. Non capiva perché i comunisti non lo amassero, mi chiese di dargli del tu. Berlusconi è stato un unicum. Nessuno può succedergli, nessuno può clonarlo. Ma spiegare queste cose a Travaglio è impossibile: mai visto un uomo così accecato dall'odio ideologico come lui. Anche solo parlarne è tempo perso».

C'è chi la individua come suo possibile «delfino».

«Berlusconi non può avere delfini: non è sostituibile. Non era immaginabile per lui avere un erede politico. Abbiamo avuto vicinanze su alcuni contenuti importanti: come lui, ho sempre pensato che il problema fiscale non si risolvesse con patrimoniali ma abbattendo le tasse sul lavoro. Pensi che quando, da premier, feci approvare il Jobs Act mi disse: Abbiamo fatto una grande riforma. Gli risposi: Guarda che i tuoi mi hanno votato contro, ma per lui era irrilevante».

Lei fa parte di una generazione cresciuta con le tv di Berlusconi e poi con la sua discesa in campo. Come ricorda quegli eventi?

«Erano gli anni di Tangentopoli e delle stragi mafiose, gli anni della mia maturità. Berlusconi vinse perché seppe coniugare la fantasia dell'innovazione con la tranquillità della moderazione. Io ricorderò sempre che nelle ore dei messaggi delle star della Fininvest come Mike o Vianello, io ero a La Ruota della fortuna. Nessuno credeva che Berlusconi potesse fare un partito. Nessuno, a parte lui».

Quando ha sentito l'ultima volta Berlusconi, e cosa vi siete detti?

«Nelle ultime settimane ho affidato i miei messaggi alle persone a lui più care, senza disturbarlo sapendolo affaticato e provato. Ma tutte le volte che ci siamo sentiti o visti, specie negli ultimi mesi, le parole di affetto e incoraggiamento erano superiori a qualsiasi discussione sul passato».

Nell'ultima intervista al Corriere della Sera disse: «Renzi dice spesso cose giuste, ma non ne trae le conseguenze», ossia non abbandona il centrosinistra. Ha provato a convincerla a farlo?

«Centinaia di volte! E sempre col sorriso, che era il suo marchio di fabbrica. Su tasse, giustizia, europeismo, riforma del mercato del lavoro ho avuto più sponda da lui che da molti del mio partito».

Il momento clou dei vostri rapporti politici fu il famoso «patto del Nazareno». Come ci si arrivò e perché si ruppe?

«Per mesi non ci siamo parlati. Io ho sempre attribuito la colpa a lui e lui a me. Ma ormai è acqua passata: quando siamo tornati a parlarci è stato come ritrovare un amico. E naturalmente ci abbiamo scherzato su, con la consueta ironia. Peccato, perché se avessimo evitato quella rottura oggi l'Italia sarebbe un Paese migliore».

In modi diversi, siete stati entrambi oggetto di accanite attenzioni giudiziarie, anche se lui notò che «come vittima della giustizia, in confronto a me, Renzi è un dilettante».

«E ha ragione. Lui ha subito più attenzioni speciali di me. E ha saputo resistere. Un pezzo minoritario di magistratura ha sempre avuto l'ambizione di sostituirsi alla politica: lo hanno fatto con Berlusconi, con me ma anche con tanti altri, sindaci e amministratori. Una parte della sinistra giudiziaria ha fatto di tutto per cancellare il Cavaliere, colpevole innanzitutto del fatto di aver bloccato l'ascesa della sinistra radicale».

Quando i suoi genitori vennero arrestati, fu uno dei pochi leader a chiamarla e a solidarizzare. Come ricorda quella telefonata?

«Ricordo che ero in auto, stavo per scendere alla presentazione del libro e ho pianto, da solo. Molti dei lettori del Giornale hanno amato il presidente Berlusconi: posso assicurare che l'uomo Silvio era migliore del politico».

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