Lo slogan «donna, vita, libertà» risuona per le strade di Teheran e in molte altre città iraniane a quasi sei mesi dall'inizio delle proteste scatenate dalla morte di Mahsa Amini, la 22enne di origine curda che ha perso la vita il 16 settembre per le percosse ricevute mentre si trovava in custodia della polizia morale che l'aveva arrestata perché non portava il velo in modo corretto. L'indignazione per la vicenda della giovane si era trasformata già in autunno in un'ondata di manifestazioni contro il governo che sono andate avanti per mesi e ieri sera manifestanti hanno protestato gridando slogan per le strade di Isfahan, Rasht e Saqqez, la città originaria di Mahsa, mentre a Teheran durante le dimostrazioni è stata bruciata la bandiera della Repubblica islamica e il ritratto della Guida Suprema Ali Khamenei. Lunedì gli attivisti hanno convocato tre giorni di nuove dimostrazioni. L'occasione è la tradizionale celebrazione del «Charshanbesuri» che cade stanotte, durante il capodanno iraniano. La Repubblica islamica ha risposto con decine di arresti di «terroristi che sono stati coinvolti anche nelle proteste anti sistema iniziate in settembre» e che «avevano pianificato sabotaggi durante le celebrazioni tradizionali del Charshanbesuri». Mentre è stata rafforzata la presenza delle forze dell'ordine nella capitale, la polizia ha annunciato agenti in borghese per le strade e per timore di manifestazioni le scuole nella provincia di Teheran hanno finito le lezioni due ore prima e gli istituti scolastici di Qom, Qazvin e della provincia del Kurdistan sono rimasti chiusi da ieri mattina. La protesta non sembra essere sul punto di fermarsi nemmeno dopo la grazia concessa da Khamenei nei primi giorni del mese a 22mila manifestanti che erano stati arrestati nei mesi scorsi e condannati a severe pene detentive. Per molti manifestanti detenuti è stata ordinata la pena di morte, che è già stata eseguita per quattro di loro. Piccole dimostrazioni anti governative si erano tenute nelle scorse settimane anche per protestare contro le intossicazioni, a partire da fine novembre in centinaia di scuole in varie città del Paese, di oltre 5000 studentesse che sono state portate in ospedale dopo avere inalato gas tossico in classe.
Gli episodi restano ancora misteriosi e le autorità non hanno ancora trovato responsabili ma secondo gli attivisti le intossicazioni sono una «vendetta» per la partecipazione delle studentesse alle proteste anti governative.
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