Iran, proteste e morte. Altri due manifestanti verso l'impiccagione

Condannati alla pena capitale un altro 23enne e il rapper Yasin "per le canzoni"

Iran, proteste e morte. Altri due manifestanti verso l'impiccagione

«Ucciderò chiunque abbia ucciso mio fratello», «Morte a Khamenei», «Lo promettiamo a Mohsen, ci riprenderemo l'Iran». Ieri l'Iran è sceso di nuovo nelle strade per la morte di Mohsen Shekari, il manifestante 23enne giustiziato giovedì. Nuove proteste si sono svolte a Teheran, ma anche a Sanandaj, nel Kurdistan iraniano, dove una marcia di giovani universitarie che cantavano slogan antigovernativi e invocavano «libertà» è stata repressa con la forza. Sui social network sono circolati i video dell'intervento degli agenti e delle ragazze costrette a fuggire.

Ora però è imminente un'altra condanna a morte. Anche in questo caso di un giovanissimo manifestante, un 23enne, Mahan Sadrat Marni. A renderlo noto è il padre. Mahan è stato condannato a morte con l'accusa di «muovere guerra contro Dio», aver partecipato cioè a un atto di protesta, ovvero a manifestazioni brandendo un coltello e per aver percosso un miliziano Basiji. Ed è ora nel braccio della morte, in attesa di essere giustiziato. Da lì ha chiamato la sua fidanzata Sogand cercando di rassicurarla che uscirà: «Non preoccuparti, amore mio. Tra due settimane sarà tutto finito e sarò fuori di prigione», le ha sussurrato al telefono. Intanto la Corte Suprema ha approvato la sentenza di esecuzione imminente pure per Mohammad Broghani, accusato di «guerra contro Dio».

Anche sul rapper Saman Yasin pende una condanna a morte. Perché «colpevole» di aver scritto canzoni che «incitano alla rivolta». Insieme a lui sarebbero stati arrestati anche i cantanti Toomaj Salehi e Behrad Ali Konari, attualmente nel braccio della morte. Il rapper Mohsen Shekari è già stato impiccato due giorni fa. L'attivista politica Masih Alinejad ha scritto su Twitter che Saman Yasin è stato tenuto per tre giorni in isolamento in una cella al freddo e ammanettato per potergli estorcere una confessione.

Ma la sequenza di violenze non finisce qui. Quattro ragazze Qashqai (iraniane di origine turca) sono state arrestate e portate nel carcere di Adel Abad il 24 novembre. Lo ha denunciato su Telegram un gruppo di attivisti, che ha anche diffuso l'immagine di un cadavere con la schiena tumefatta. Si tratterebbe di un 19enne malmenato che però, secondo la polizia, sarebbe morto suicida.

Morti nelle strade, vittime della repressione delle proteste, ma anche morti sul patibolo. La macchina della morte, in Iran, non ha tregua. Ne sono convinti ad Amnesty International che teme «molte altre esecuzioni» nel prossimo futuro. Sono almeno 18 le persone che rischiano ancora la pena capitale. Prima dell'inizio della rivolta a metà settembre, Amnesty aveva avvertito di prevedere una terribile accelerata nelle esecuzioni in Iran, dove nei primi sei mesi del 2022 erano già state giustiziate almeno 251 persone.

Le autorità intanto sembrano aver perso la bussola. E minacciano anche le famiglie delle vittime minorenni. Amnesty International ha fornito i nomi e le generalità di almeno 44 minori. Tra le vittime, 39 ragazzi dai 2 ai 17 anni e cinque ragazze: tre di 16 anni, una di 17 e una di sei. Secondo la ong 34 dei 44 minorenni sono stati uccisi da proiettili mirati al cuore, al capo e ad altri organi vitali. Altri quattro sono stati uccisi da pallini di metallo esplosi da breve distanza. Cinque, tra cui una ragazza, sono morti a seguito di pestaggi. Infine, una minorenne è morta dopo essere stata colpita al capo da un candelotto lacrimogeno. I minorenni rappresentano finora il 14 per cento delle persone uccise durante le manifestazioni.

In 12 casi le autorità iraniane hanno attribuito le loro morti ad «azioni di terroristi», suicidi, overdose, morsi di cani o incidenti stradali. I parenti sono stati costretti a seppellirli in villaggi remoti. Diciotto vittime erano baluci e dicei curdi, due minoranze etniche oppresse.

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