Irruzione nel governo

Questo non è un Paese per grandi opere, ma per grandi bufere. E i magistrati si scatenano

Irruzione nel governo

Questo non è un Paese per grandi opere, ma per grandi bufere. L'ultima rischia di mandare in crisi il governo Renzi, coinvolto tramite il ministro Lupi e il sottosegretario Nencini. Ercole Incalza è un ex dirigente del ministero dei Lavori Pubblici. È un burocrate che da 14 anni e sette governi ha in mano i grandi appalti italiani. Secondo la procura di Firenze sarebbe lui lo snodo principale, il «dominus», che smista favori, lavoro, soldi in cambio di tangenti. Se vuoi vincere una gara devi passare da lui: Expo, Alta velocità, porti in Sardegna, autostrade, Salerno-Reggio Calabria, tutto il futuro delle reti e delle infrastrutture. Il suo arresto ha il suono di un'implosione che può travolgere Ncd.

Non si sa se il megaburocrate sia colpevole oppure no. Questo è un lavoro che spetta ai giudici. Quelle che invece sono evidenti sono le conseguenze di questo evento. Il governo Renzi si è subito arreso al «partito delle toghe», a chi ritiene che l'unica via per sconfiggere la corruzione sia aumentare le pene, inventarsi nuove leggi e moltiplicare le authority. Ecco allora che il Guardasigilli Orlando si affretta ad andare in Senato, commissione Giustizia, a presentare l'emendamento sul falso in bilancio. Il disegno di legge sull'anticorruzione appare così come la panacea per tutti i mali. Ora ci sarà un'Italia onesta. Pene più severe, prescrizione più lunga, mannaia per le società quotate in borsa e il presidente della Camera Grasso che finalmente può esclamare: alleluia.

Questo è certamente il modo più ruffiano per cercare di risolvere il problema, con la politica che risponde a caldo allo scandalo e di fatto lascia al potere giudiziario il ruolo di legislatore, con il Parlamento che si lascia suggerire le leggi. Ma siamo sicuri che sia questa la risposta migliore? Legge su legge su legge. E se il problema fosse che di leggi invece ce ne siano già troppe? La corruzione campa di burocrazia, di norme, di cavilli, di codici dove nascondersi e soprattutto di scarsa trasparenza. È la grande giungla di normative sempre più complesse, di uno Stato pachiderma che vuole controllare ogni angolo dell'attività umana, a complicare gli appalti. Le tangenti vivono di paure, di incertezze, di cose poco chiare, dove solo i padroni delle carte sanno muoversi a proprio agio. Una tangente è una tangente. Dovrebbe bastare poco a riconoscerla. Servirebbero leggi chiare e pene adeguate. E tempi brevi per capire se un presunto corrotto va condannato oppure no. I tempi rapidi del giudizio sono un requisito fondamentale della certezza del diritto. Invece qui si allunga la prescrizione, un modo per permettere ai pm di andare più lenti e lavorare meno, magari lasciando per decenni l'imputato in un limbo che vale già una condanna. La politica, il governo, i partiti, il Parlamento si sono arresi a tutto questo. Il rischio serio è che l'Italia dei giudici per controllare tutto finisca per asfissiare tutti tranne i malfattori. Lo Stato ancora una volta non è la soluzione. È il problema. Questo Stato esponenziale e troppo invasivo finirà per favorire i burocrati e i politici dalla tangente facile. Più c'è lo Stato più ci sono le tangenti. È la prima legge della burocrazia.

Renzi dice di immaginare un'Italia veloce, produttiva, rapida, in grado di costruirsi il proprio futuro. In realtà l'Italia in cui vive è quella delle mille authority, che tutto vuole controllare e nulla risolve.

È l'Italia di un pantano infetto, dove proliferano i germi del malaffare e gli imprenditori onesti restano prigionieri dello Stato onnipresente. È l'Italia dei giudici che non fanno i giudici, ma miriadi di tanti altri mestieri. Non è l'Italia di Renzi. È l'Italia di Raffaele Cantone.

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