Con l'operazione «giorni del pentimento», subito dopo lo Yom Kippur, la festività dell'espiazione, Israele ieri intorno alle 2 del mattino ha attaccato l'Iran. L'azione è stata condotta a 1.600 chilometri di distanza, con decine di caccia, tra cui F15, F16, F35, aerei d'allarme, da rifornimento e da guerra elettronica. Secondo il sito Walla l'aeronautica avrebbe utilizzato un centinaio di velivoli per i raid. Colpito anche il sistema di difesa aerea S-300 dell'aeroporto della capitale e la base segreta di Parchin. Prima di lanciare l'offensiva, in risposta alla massiccia aggressione con missili balistici del 1° ottobre di Teheran, i caccia hanno preso di mira e «accecato» centri radar e sistemi di difesa aerea, sia in Siria e Iraq che in Iran.
Gli obiettivi includevano impianti di produzione di missili, siti di sviluppo e produzione di droni e basi di lancio di missili balistici, tutti parte del nucleo dell'industria degli armamenti iraniana. Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant e i principali generali dell'Idf si trovavano nel bunker sotto la base militare di Kirya a Tel Aviv mentre venivano eseguiti i bombardamenti. Con loro i capi dell'esercito israeliano, del Mossad e dello Shin Bet e il capo di stato maggiore, Herzi Halevi, e il capo dell'Iaf Tomer Bar.
Quattro soldati iraniani sono stati uccisi, ma alcune fonti hanno negato che ci siano stati gravi danni. L'Iran ha «il legittimo diritto alla autodifesa secondo la Carta delle Nazioni Unite ed è inoltre obbligato a difendere il paese contro qualsiasi aggressione straniera», ha puntualizzato il ministero degli Esteri in una nota, ma ha aggiunto che la Repubblica islamica «riconosce le sue responsabilità nei confronti della pace e della sicurezza regionali», una dichiarazione considerata relativamente conciliante.
Alti funzionari dell'amministrazione americana hanno però fatto sapere che gli Stati Uniti erano stati informati in anticipo degli attacchi ma che Washington non vi è stata coinvolta. I raid non hanno colpito infrastrutture petrolifere o impianti nucleari iraniani, obiettivi che Joe Biden aveva esortato Israele a non prendere di mira. Ma c'è di più: secondo Axios lo Stato ebraico ha inviato venerdì un messaggio all'Iran prima della sua offensiva, avvertendo Teheran di non rispondere. Axios sottolinea che il messaggio israeliano era un tentativo di prevenire un'escalation più ampia ed è stato trasmesso agli iraniani tramite diverse terze parti. A frenare finora l'azione dello Stato ebraico era stata anche la fuga di notizie dal Pentagono, che aveva svelato alcuni degli obiettivi di Israele.
Ma mentre Teheran ha informato Tel Aviv attraverso un intermediario straniero che non risponderà all'ondata di raid sul suo territorio, come ha riportato la rete Sky News in arabo, il primo vicepresidente iraniano Mohammad Reza Aref ha puntualizzato che «il potere dell'Iran umilierà i nemici della madrepatria». Tasnim, agenzia di stampa vicina ai Pasdaran, ha citato una fonte informata secondo cui la Repubblica islamica è pronta a rispondere ai nuovi bombardamenti israeliani in modo appropriato. La fonte sostiene inoltre che l'annuncio di Israele di aver colpito venti luoghi in Iran sarebbe «falso» e Tel Aviv starebbe cercando di amplificare il suo «debole» attacco. La diplomazia internazionale però è già al lavoro per scongiurare la guerra totale. L'amministrazione Biden ha chiesto la fine del ciclo di violenza. Mentre il portavoce dell'Idf Daniel Hagari, ha puntualizzato che l'esercito ha dimostrato la sua preparazione e ha avvertito che se l'Iran avesse reagito, lo Stato ebraico sarebbe stato «obbligato a rispondere».
Gli Stati Uniti da parte loro hanno incoraggiato Israele per settimane a condurre una risposta «mirata e proporzionata con un basso rischio di danni ai civili» e questo è «esattamente ciò che è accaduto». La Russia invece ha chiesto «moderazione a tutti». È intervenuto infine anche il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres che ha avvertito: «Gli atti di escalation devono cessare».
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