Una rappresaglia «seria e significativa destinata a scattare all'inizio della prossima settimana». Questo promettevano ieri fonti dell'esercito israeliano a chi chiedeva informazioni sulla possibile risposta alla pioggia di missili iraniani abbattutasi sul paese martedì scorso. E poiché la settimana ebraica inizia di domenica quando leggerete queste righe i raid potrebbero essere già scattati.
I segnali ci sono tutti. A cominciare dall'arrivo a Tel Aviv del generale Michael Kurilla, il capo del Comando militare centrale Usa diventato un habitué delle trasferte in Israele nell'imminenza di possibili e pericolose escalation. Ma a Washington ci si chiede soprattutto se la presenza del generale potrà contribuire a moderare o condizionare la risposta dell'alleato israeliano. I primi a non dirsi troppo ottimisti sono i portavoce dell'amministrazione Usa. Anche perché sono ben consapevoli di come Israele non abbia mai ascoltato i consigli e le raccomandazioni partite dalla Casa Bianca nel corso dell'ultimo anno. «Speriamo e ci aspettiamo un po' di saggezza, ma come sapete, nessuna garanzia» - ha ammesso alla Cnn un funzionario del Dipartimento di Stato. «Stiamo cercando di evitare che la situazione degeneri in una guerra regionale in cui è chiaro che gli Stati Uniti potrebbero essere coinvolti» - dichiarano altri funzionari.
Del resto la conferma di quanto l'alleato israeliano e il premier Benjamin Netanyahu siano fuori controllo è già arrivata con l'eliminazione del capo di Hezbollah Hassan Nasrallah. Un'eliminazione messa segno, secondo recenti rivelazioni, nonostante lo stesso Joe Biden avesse chiamato il premier Netanyahu avvertendolo della disponibilità del capo di Hezbollah ad accettare un cessate il fuoco. Anche in quest'occasione le parole dell'anziano e ormai irrilevante presidente americano sembrano destinate a rivelarsi un inutile «flatus vocis». Mercoledì scorso intervenendo al termine della riunione del G7 convocata da Giorgia Meloni per concordare una risposta comune al lancio dei missili iraniani il presidente Usa si era detto contrario ad una rappresaglia sui siti nucleari. «La risposta è no - aveva detto Joe Biden - tutti e sette concordiamo sul fatto che gli israeliani hanno il diritto di reagire, ma devono rispondere in modo proporzionato». In seguito aveva elucubrato sulla possibilità che gli israeliani colpissero i siti petroliferi. Ma dopo i rialzi del prezzo del greggio provocati dalle sue stesse parole ha innescato una brusca marcia indietro definendo poco opportuno anche quel tipo di raid.
Una retromarcia innescata dalla tardiva consapevolezza di quanto un rialzo dei prezzi nell'imminenza delle presidenziali rischi di far naufragare l'elezione di Kamala Harris. Indecisioni e contraddizioni su cui va a nozze Donald Trump non appena i giornalisti lo invitano a commentare le dichiarazioni del Presidente. «Gli hanno chiesto, cosa pensi dell'Iran, lo colpiresti?». E lui, «Purché non colpiscano il nucleare».
Ma è questo quel che uno vuole colpire no?», ha detto Trump aggiungendo che la risposta giusta sarebbe stata «Colpisci prima le armi nucleari e poi preoccupati del resto». Un suggerimento che gli israeliani sembrano assai propensi ad ascoltare.
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