Israele torna al voto: è la quinta volta in 43 mesi. Lapid vuole archiviare Netanyahu. Che non molla

Per i sondaggi l'elettorato è spaccato a metà. All'ex premier manca un seggio

Israele torna al voto: è la quinta volta in 43 mesi. Lapid vuole archiviare Netanyahu. Che non molla

Toni apocalittici a Gerusalemme per le elezioni di oggi, mentre avanza l'ondata di terrorismo che fa morti e feriti ogni giorno, e Israele compie il rito principale della democrazia, cittadella nella giungla mediorientale. Per la quinta volta in 43 mesi, 6 milioni e 780mila israeliani vanno a votare. Un record, un segnale di stress e di antagonismo insanabile, dentro il guscio di un'unità essenziale alla sopravvivenza, accompagnato da una comprensibile stanchezza degli elettori. Se nel 1949, nell'ardore della fondazione, i votanti furono l'86,9%, alle ultime elezioni per la 24esima Knesset la percentuale è del 67,4. Adesso i leader su una cosa sola concordano, nella loro preghiera ripetuta agli elettori: andate a votare, perché può essere un voto, un niente in più che consenta di afferrare il numero magico, 61: i seggi per il governo in un Parlamento di 120 eletti. E poiché il popolo ebraico ha sempre molto amato il dibattito, sono ben 39 i partiti in lizza.

Ma i pilastri politici sono tre: Benjamin Netanyahu, capo del Likud, l'ex primo ministro col più lungo servizio, un riconosciuto carisma internazionale e un'accanita serqua di nemici uniti nel «solo non Bibi»; Yair Lapid, primo ministro da luglio, entrato in politica nel 2012, ex anchorman capo del secondo partito «C'è un futuro»; e Benny Gantz, ministro della Difesa, ex Capo di Stato Maggiore, capo del nuovo «Partito di Unità Nazionale» che offre un compromesso storico. Il Likud nei sondaggi ha 31 seggi, uno in più rispetto alle elezioni precedenti; Lapid ne ha 27, 10 in più; Gantz ne ha 11, ma anche Bennett ne aveva solo 6, la grandezza del partito è meno importante del giocoliere, e Gantz sostiene che la sua figura patriottico-moderata consentirà una coalizione mista. Bibi secondo i sondaggi, potrebbe raggiungere solo 60 seggi, il numero maledetto su cui si è arenato la volta scorsa; la coalizione guidata da Lapid, 56; poi, 4 seggi per i partiti arabi Hadash e Taal, il cui pubblico non può soffrire l'epica israeliana e sostiene i palestinesi.

I contenuti politici, economici, strategici sono pallidi di fronte al solito tema ossessivo degli ultimi anni: Netanyahu, sì o no, accusato di corruzione, egocentrismo, e di una tentazione autoritaria contro il potere giudiziario. L'accusa viene ossessivamente amplificata puntando alla sua eventuale coalizione col Partito sionista religioso, un grosso blocco di 14 seggi, guidato da due personaggi molto agguerriti, Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich che scelgono come parola d'ordine la lotta al terrorismo e ai loro alleati, accusati anche di volere una legge che salvi Netanyahu dal processo. Gvir ha riempito di sé i giornali impugnando una pistola durante scontri Gerusalemme, e annunciando che sarà ministro della Giustizia. Questo non è piaciuto affatto a Netanyahu, come a Lapid ha dato fastidio che il suo Ram Ben Barak, ex vicecapo del Mossad, parlando del «rischio Netanyahu» abbia detto che anche Hitler fu eletto democraticamente; e la segretaria del partito Laburista, Merav Michaeli, si è esibita in un «Rabin morì in un assassinio politico con la cooperazione di Netanyahu».

Le parole si sprecano. Netanyahu ha sostenuto che il mondo della Torah (la preghiera, le tradizioni) è a rischio, e ha anche suggerito spesso che il blocco di sinistra assocerà al governo una pericolosa componente araba amica dei terroristi.

Ma anche se Bibi è beffardo e duro e tratta Lapid come un ragazzo che debba imparare l'abc specie della politica estera, non si è mai lasciato andare a accuse personali o a insulti, mentre Lapid chiama il gruppo dei partiti di destra «le forze dell'oscurità». In realtà, tutta la gente di Israele, anche se oggi è così spaccata, sa che alla fine tutti i loro figli dovranno servire insieme per un minimo di 32 mesi alla difesa dello stesso Paese, che compie appena 75 anni.

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