«Un tragico errore». Ostaggi israeliani scambiati per terroristi. E uccisi dai soldati dello Stato ebraico. A 70 giorni dall'inizio della guerra, l'esercito israeliano è costretto ad ammettere quello che i parenti degli ostaggi non avrebbero mai voluto sentirsi dire. Il fuoco «amico» ha ucciso a Shujaia, nord della Striscia di Gaza, tre dei rapiti di cui si aspettava con angoscia il ritorno a casa. Si tratta di Yotam Haim, del kibbutz di Kfar Aza, di Samer Talalka, rapito da Nir Am, mentre non si conosce il nome della terza vittima, perché così hanno voluto i familiari. «Probabilmente gli ostaggi si erano liberati o erano rimasti incustoditi durante i combattimenti - ha spiegato il portavoce dell'esercito, Daniel Hagari - e scambiandoli per combattenti, in un'area in cui i soldati hanno incontrato molti terroristi, tra cui attentatori suicidi, i militari dell'Idf hanno aperto il fuoco». La loro morte porta a 20 il numero degli ostaggi uccisi e a 131 i rapiti in mano agli islamisti. La vicenda è destinata ad accrescere la rabbia di chi aspetta il ritorno dei propri cari, mentre il Consigliere per la Sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan, si trova in Israele anche per tentare di accelerare una soluzione e ha incontrato ieri il capo del Mossad, David Barnea.
La guerra prosegue spietata. I razzi di Hamas continuano ancora a puntare su Israele e ieri nel mirino è tornata Gerusalemme. I terroristi della Striscia di Gaza stanno perdendo comandanti, combattenti, armi e depositi, hanno subìto la distruzione del centro di comando del Battaglione Shujaia, eppure non perdono la volontà di colpire lo Stato ebraico, che continua a doversi difendere anche dagli attacchi di Hezbollah dal Libano e dai tentativi di destabilizzare il Mar Rosso delle milizie yemenite Houthi. Quattro dei sei razzi contro Gerusalemme sono stati intercettati. Un altro ha colpito un edificio a Beit Shemesh e uno è caduto nei pressi di un ospedale a Ramallah, nell'altra enclave palestinese, la Cisgiordania. Quasi un paradosso dopo che il consigliere americano Sullivan ha incontrato il leader dell'Anp, Abu Mazen, nella cosiddetta capitale palestinese, seconda tappa della visita cominciata con un colloquio con il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Il rappresentante Usa ha spiegato che Israele non ha piani a lungo termine per occupare Gaza e ha aggiunto che la guerra durerà mesi ma passerà a «una nuova fase mirata all'eliminazione della leadership di Hamas su operazioni di intelligence». Un cambio di passo sarebbe in vista, dunque, e «le condizioni e il timing sono stati ovviamente discussi con Netanyahu», al quale gli Stati Uniti ribadiscono di limitare le vittime civili. Quanto alle minacce esterne, Hezbollah a nord di Israele «va rimossa», ma serve «una soluzione diplomatica», gli attacchi ai militari regolari libanesi sono inaccettabili, mentre gli Houthi filo-iraniani dello Yemen, che colpiscono la libertà di navigazione, «vanno affrontati». Al confine con il Libano, Israele si prepara a scenari più estremi dopo l'esercitazione «Valuable Time» e la diffusione di volantini in arabo per avvertire i libanesi della pericolosità degli estremisti.
Netanyahu insiste: «Avanti fino alla vittoria assoluta», ma Israele deve fare i conti con un conflitto che, allungandosi, vede aumentare il numero di soldati uccisi, arrivato ormai a 119, e salito come il numero degli ostaggi che non torneranno mai più a casa, mentre gli scontri imperversano a nord e a sud della Striscia.
La situazione peggiora di giorno in giorno, è l'allarme di Unicef. Israele ha aperto il valico di Kerem Shalom a fini umanitari e Biden è tornato a parlare con il turco Erdogan per trovare una soluzione. I morti sarebbero oltre 19mila.
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