Obbligare gli utenti dei social network - Facebook, Twitter, Instagram e così via - a fornire un valido documento d'identità al momento della registrazione, in modo da poter essere rintracciati più facilmente in caso di comportamento illegale. È la proposta di Luigi Marattin, senatore di Italia Viva, lanciata martedì mattina per rispondere a un post-appello del regista Gabriele Muccino: "Subito, al più presto, occorre una legge che obblighi chiunque apra un account social a registrarlo solo tramite l’invio di un documento di identità", il suggerimento di Muccino per combattere la piaga delle migliaia di haters che, ogni giorno, riempiono la rete di insulti e minacce. Si tratta quasi sempre di troll, odiatori di professione (o per diletto) che sanno di farla franca grazie alle lacune della legislazione italiana e internazionale. "Da oggi al lavoro per una legge che obblighi chiunque apra un profilo social a farlo con un valido documento d’identità. Poi prendi il nickname che vuoi (perché è giusto preservare quella scelta) ma il profilo lo apri solo così", scrive Marattin, attaccando qualche minuto dopo, in un altro post, gli utenti che criticano (per vari motivi) questa proposta: "Vogliono che il web rimanga la fogna che è diventato". Anche loro haters e troll? Non tutti, anzi. Da tempo gli addetti ai lavori criticano l'idea di vincolare l'iscrizione sui social alla trasmissione del documento, carta d'identità o codice fiscale che sia.
Da oggi al lavoro per una legge che obblighi chiunque apra un profilo social a farlo con un valido documento d’identità. Poi prendi il nickname che vuoi (perché è giusto preservare quella scelta) ma il profilo lo apri solo così.
— Luigi Marattin (@marattin) October 29, 2019
Ci avevano già provato, nell'ottobre 2018, i senatori Malan, Damina, Vitali, Aimi, Floris, Pagano, Cangini e Giammanco con un disegno di legge (decaduto con la fine anticipata del governo gialloverde.) La loro proposta modificava il decreto legislativo n° 70 del 9 aprile 2003 dal titolo "Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico". E prevedeva l'obbligo della carta d'identità per accedere a social network e servizi online. Il motivo? Far venir meno l'anonimato, consentendo agli hosting provider, banalmente i siti internet, a trasmettere più facilmente i dati anagrafici della persona accusata di avere commesso un reato. Per qualcuno, una violazione della privacy. Non per il senatore Pagano (Fi), per il quale sarebbe stato possibile "continuare a usare un nickname, di qualunque genere: l'identità dell'utente verrà data alle autorità solo in caso di comportamenti penalmente rilevanti".
Proposta di buonsenso ma inutile per alcuni addetti ai lavori, se non addirittura dannosa per altri. Infatti, secondo parecchi esperti informatici, carte d'identità, codici fiscali e/o patenti finirebbero in un archivio a disposizione dei vari siti internet. Dati sensibili a disposizione di migliaia di società commerciali, con i problemi di provacy e tutela dei dati personali che ne derivano. Senza contare che il ddl del 2018, così come era stato presentato, escludeva dalla sua applicazione i social network. Nel testo, infatti, erano escluse le prestazioni di servizi "delle società dell'informazione effettuate da soggetti stabiliti in Paesi non appartenenti allo spazio economico europeo". Come Facebook, Twitter e Instagram. A cui aggiungere il fatto che, per utilizzare i dati degli utenti incriminati, serve una rogatoria, vale a dire una richiesta da inoltrare all'estero. Aspetto non considerato dal ddl dell'anno scorso.
La risposta più spietata al post di Marattin arriva dall'esperto informatico Stefano Zanero, che invita il deputato di Italia Viva a leggere un vecchio thread dove forniva il suo punto di vista sulla questione dell'anonimato online, per lui difficilmente eliminabile e, al contrario, "desiderabile" in quanto strumento di tutela ed esercizio della libertà d'espressione. Per Zanero, oltre al fatto che chi usa un social network sia già rintracciabile tramite il suo indirizzo IP (etichetta numerica con cui ci connettiamo ad internet), ogni documento andrebbe esaminato per verificarne l'autenticità. Inoltre, se approvata, la legge annunciata da Marattin andrebbe ad applicarsi solo in Italia. "Chi è in grado di mascherare l’indirizzo IP - scrive Zanero - sarà anche in grado di passare per straniero", finendo per "penalizzare i cittadini rispettosi della legge" e senza "influenzare gli altri".
Un bel pasticcio, insomma. Lo fanno notare anche alcuni followers di Marattin. "E se uno s'iscrive tramite una connessione estera? Controllo del cellulare in dogana? E se uno s'iscrive tramite una connessione estera ma nell'Area Doganale Europea?", la riflessione di Enzo. Rimane comunque la questione dell'odio online, problematica di cui si è tornati a parlare dopo la notizia degli oltre 200 messaggi quotidiani di insulti a sfondo razziale recapitati sui social alla senatrice a vita Liliana Segre.
Simbolo di un fenomeno messo nel mirino ultimamente dalla sinistra e in modo particolare da Laura Boldrini. "Impegniamoci insieme perché la Rete sia un luogo più sicuro, soprattutto per ragazze e ragazzi", scrive su Twitter la deputata del Pd, avallando di fatto l'ultima proposta del collega Marattin.Oggi la rete compie 50 anni, auguri!
— laura boldrini (@lauraboldrini) October 29, 2019
Una splendida rivoluzione che ha cambiato le nostre vite e che continuerà a farlo.
Impegniamoci insieme perché sia un luogo più sicuro, soprattutto per ragazze e ragazzi #InternetDay
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