Niente da fare per il quesito referendario che proponeva la cancellazione delle norme del Jobs act in materia di licenziamenti illegittimi, che prevedono il pagamento di un indennizzo invece del reintegro sul posto di lavoro. Dopo due ore e mezza di camera di consiglio la Corte costituzionale ha giudicato inammissibile il referendum sull'articolo 18; via libera, invece, ai quesiti sui "voucher" (la richiesta di soppressione delle norme relative al buono per il lavoro accessorio) e quello sulla responsabilità solidale in materia di appalti.
Già nei giorni scorsi, con memorie trasmesse alla Corte, l’Avvocatura dello Stato aveva chiesto di dichiarare inammissibili i quesiti referendari, ai quali l’ufficio centrale della Cassazione, dopo il vaglio dei 3,3 milioni di firme raccolte dalla Cgil, ha dato il suo via libera nello scorso dicembre. All’udienza di questa mattina non era presente il giudice Alessandro Criscuolo: sono stati 13, quindi, i giudici che si sono espressi sui quesiti. Il plenum è incompleto dal novembre 2016, quando Giuseppe Frigo ha dato le dimissioni dalla Corte e il parlamento non ha ancora scelto chi andrà a coprire la poltrona rimasta vacante.
La motivazioni della decisione saranno rese note con il deposito delle sentenze - una per ciascuno dei tre quesiti - che, secondo quanto prevede la legge, deve avvenire entro il 10 febbraio.
Com'era inevitabile la sentenza della Consulta ha riacceso il dibattito politico, con dichiarazioni di plauso e proteste più o meno rumorose (leggi le reazioni politiche).
Sull’articolo 18 "la battaglia continua", commenta il segretario
generale della Cgil, Susanna Camusso. "Non è che il giudizio della Corte di oggi fermi la battaglia sull'insieme della questione dei diritti". E ancora: "Valuteremo se ricorrere alla Corte europea per ripristinare i diritti".
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