Il tasso di disoccupazione a marzo in Italia, in controtendenza rispetto al resto dell'Eurozona, è salito di 0,1 punti rispetto al febbraio, portandosi alla elevata percentuale dello 11,7 per cento. Si tratta, chiaramente, di un effetto del Jobs Act, che ha comportato la abrogazione di quasi tutte norme della legge Biagi che consentivano un lavoro diverso da quello dipendente vero e proprio.
Erano rimasti i voucher, ora abrogati, perché il Pd renziano oramai teme i referendum e sui buoni lavoro pendeva quello dei sindacati, con cui il governo a trazione piddina non riesce a colloquiare sia che si tratti della Cgil, che un tempo lo fiancheggiava, sia che si tratti dei sindacati liberi che del Pd si fidano poco. Qualsiasi contratto flessibile il governo attuale adotti al posto dei voucher rischia d'essere bocciato da un altro referendum sindacale. Così il tentennante esecutivo s'è ficcato in un vicolo cieco. L'Italia, insomma, continua a subire i danni del vespaio interno del Partito democratico non solo nella finanza pubblica, per le manovre di bilancio pasticciate e per la politica economica improvvisata (vedi i costi del dissesto di Alitalia dopo la bocciatura del referendum sul progetto di ristrutturazione chiesto dai sindacati), ma anche nel cruciale settore della disoccupazione. Non vale propagandare che in marzo l'occupazione è stabile rispetto al febbraio e che la causa dell'aumento dei disoccupati di marzo è la riduzione degli inattivi di 1,4 punti ossia del fatto che le persone in cerca di lavoro sono aumentate. Infatti l'economia è in crescita di quasi lo 0,1 mensile e di solito il miglioramento delle prospettive economiche induce ad aumentare l'offerta di lavoro perché crescono le possibilità di trovarlo. Se il Jobs Act fosse stata davvero una riforma positiva genererebbe una crescita del Pil maggiore dell'asfittico 1%, con cui siamo il vagone di coda dell'Europa e più occasioni di lavoro. Che il Jobs Act sia un fallimento è confermato dal confronto fra il marzo 2017 e lo stesso mese dell'anno scorso, per la disoccupazione, l'occupazione e il tasso di inattività. Nell'arco dei dodici mesi, mentre il Pil cresceva al ritmo dell'1% su base annua, i disoccupati sono diminuiti solamente dello 0,2%, mentre l'occupazione è aumentata di un impercettibile 0,1 per cento, per effetto della riduzione dell'1,2% del tasso d'inattività della popolazione, causata dall'aumento delle persone in cerca di lavoro. La conclusione è amara. Il Jobs Act ha un effetto negativo sulla creazione di posti di lavoro perché irrigidisce il mercato dell'occupazione, a differenza della legge Biagi berlusconiana che lo rese più flessibile e stimolò la crescita del Pil. Inoltre le liti dei democratici, creando incertezze sulla nostra politica economica e finanziaria hanno ridotto gli investimenti bancari esteri in Italia di 100 miliardi di euro in nove mesi e questo ha diminuito l'offerta di credito per gli investimenti e, di conseguenza, la nostra crescita.
Ecco perché vale la pena porsi un interrogativo. Quanti anni sarebbero necessari per tornare al livello di disoccupazione del 6% dell'economia dinamica dell'era berlusconiana se seguitassimo a subire governi sotto controllo del Pd con la sua Renzinomics?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.