Nel mirino depositi di missili balistici, un aeroporto e laboratori di ricerca. L'ondata di attacchi israeliani sulla Siria - oltre 350 in una settimana - prosegue intensa da quando il regime di Assad è crollato. Almeno 40 azioni. Il premier israeliano Netanyahu ha spiegato giorni fa che i raid sono necessari «per impedire che le armi strategiche dell'ex regime finiscano nelle mani dei jihadisti». Il capo di Stato maggiore Halevi ha aggiunto ieri che Israele «non sta interferendo con ciò che sta accadendo in Siria». E il leader di Hayat Tahrir al-Sham (Hts), al-Jolani (che ora preferisce il nome di battesimo Al Sharaa) ha sostenuto che la Siria non intende «entrare in conflitto» con Israele e che «le scuse di Israele per entrare in Siria non esistono più. Al Jolani lancia segnali di distensione, anche agli alleati di Assad. «Avremmo potuto colpire pure le basi russe in Siria, ma abbiamo preferito costruire buoni rapporti», spiega ancora, mentre le truppe di Mosca arretrano e si sta trattando per il futuro della base navale di Tartus, sbocco sul Mar Mediterraneo dai tempi dell'impero sovietico. «Abbiamo dato ai russi la possibilità di riconsiderare il loro rapporto con il popolo siriano», dice il leader di Hts. Quanto all'Iran: «Siamo stati capaci di mettere fine alla loro presenza, ma non abbiamo alcuna ostilità nei confronti del popolo iraniano». Il senso è che la Siria non sarà trascinata in un'altra guerra, visto che punta a «sviluppo e costruzione». Ma il nuovo corso è un'incognita. Fedeli dell'ex regime hanno teso ieri un'imboscata alle forze guidate da Hts, uccidendo 15 militari. Al Jolani annuncia: «Scioglieremo tutti i gruppi armati». Un'mpresa densa di rischi. «Formeremo comitati e consigli che si occuperanno del riesame della Costituzione» - aggiunge - e il futuro del Paese «includerà elezioni».
A Damasco, intanto, ha riaperto dopo 12 anni l'ambasciata della Turchia, king maker del post-Assad. Dalla Giordania, dove è riunito con Turchia, Paesi arabi e Ue, il segretario di Stato americano Antony Blinken annuncia di essere in contatto con Hts e rimarca la necessità di un governo «inclusivo e rappresentativo» in Siria. Sarà questa una delle cruciali sfide post-regime, cruciale per la regione.
In Libano, nonostante la tregua, proseguono i raid israeliani. Il leader di Hezbollah, Naim Qassem, spiega che la resistenza continuerà, anche i rifornimenti con la Siria sono interrotti e il gruppo si augura che le nuove autorità siriane non normalizzino i rapporti con Israele. Il premier libanese Najib Mikati è stato ricevuto da Giorgia Meloni, che si è impegnata per la tenuta del cessate il fuoco.
Avanti con i raid israeliani anche a Gaza, dove le vittime sono quasi 45mila, nonostante un accordo per la tregua sembri più vicino. Hamas parla di «eccellente opportunità» di chiudere prima della fine dell'anno. Ma serve definire ancora alcune questioni. Israele ha detto no, in cambio di alcuni ostaggi israeliani, alla liberazione del leader di Fatah, Marwan Barghouti, che sta scontando 5 ergastoli.
I negoziatori israeliani starebbero anche chiedendo che alcuni dei palestinesi eventualmente liberati non tornino a Gaza e in Cisgiordania ma vadano all'estero. A Jenin, nel West Bank, l'uccisione di un comandante della Jihad islamica dalle forze di sicurezza dell'Autorità palestinese, ha scatenato scontri fra le fazioni.
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