Una volta l'esposizione televisiva era una bella garanzia di vendite per un libro. Anzi diciamo la garanzia delle garanzie. Poi a questo fenomeno si è affiancato quello dell'esposizione social. Al momento sembra che il potere del teleschermo, soprattutto se ideologico, abbia perso una buona parte della sua capacità di propulsione. Soprattutto se il nocciolo di questa propulsione mediatica è dato da una presunta resistenza al fascismo che non c'è.
Qualche esempio. Pochi volti sono più mediatici di quello di Lilli Gruber. Il viso della giornalista ci accompagna dai tempi della caduta del muro di Berlino. Ecco, il nuovo libro della conduttrice di Otto e mezzo - Non farti fottere. Come il supermercato del porno online ti ruba fantasia, desiderio e dati personali (Rizzoli) - non ha avuto un esordio proprio folgorante. Nella settimana di uscita, 1865 copie. In quella seguente 2mila e quattrocento uno. Niente oltre il quinto posto della saggistica. Per carità, la saggistica in Italia vende pochino in generale... Però per intenderci: un libro stravenduto dal 2021 come Fabbricante di lacrime, appena è stato rilanciato da un film Netflix è balzato nuovamente a vendere 4mila e centodue copie alla settimana. Si potrebbe pensare che, magari, a non funzionare sia il tema, con tutto che è innegabile che Gruber è andata a toccare, e a ragione, un argomento scottante come quello della pornografia on line.
Eppure no, anche altri nomi sovraesposti mediaticamente in libreria sembrano far fatica a capitalizzare la visibilità, soprattutto quando la sovraesposizione è tutta «resistenziale». Prendiamo Antonio Scurati, che per il suo famoso monologo mancato sul 25 aprile ha ottenuto un numero di citazioni televisive esponenziale, offerto anche dalla sopracitata Gruber. Nonostante il fatto che la Trilogia di M. abbia venduto tantissimo, con il nuovo saggio Fascismo e populismo. Mussolini oggi (Bompiani) deve accontentarsi di 1542 copie a settimana nell'ultimo dato disponibile. La settimana precedente erano addirittura meno. Anche in questo caso verrebbe da dire che non c'è esposizione mediatica che tenga. La Trilogia di M. poteva piacere o non piacere ma raccontava Mussolini e un fascismo che c'era. Forse i lettori non hanno voglia di leggere di Mussolini oggi, ovvero di un fascismo che non c'è e di un Mussolini che non c'è. Sembrerebbe andare nella stessa direzione anche l'esito editoriale del libro di quello che indubbiamente, politica o non politica, è un antichista di chiaro valore: Luciano Canfora. Del professore ultimamente si è parlato moltissimo per la querela ricevuta dalla premier che non ha ritenuto opportuno lasciar perdere sul fatto di essere stata etichettata come neonazista. Il libro del professore che al momento si fa notare nelle classifiche non a caso si intitola Il fascismo non è mai morto (Dedalo edizioni). Si può azzardare lo stesso argomento preso in considerazione per Scurati: essendo invece il fascismo mortissimo, il libro di Canfora vende nonostante tutto appena mille e cinquecento copie, più spiccioli, a settimana. Verrà un colpo a qualsiasi intellettuale di sinistra ma restando alla saggistica, e giusto per fare un paragone, Paolo Del Debbio con In nome della libertà. La forza delle idee di Silvio Berlusconi di copie ne vende 6mila e novecentosette nell'ultimo dato di Nielsen. Certo anche Del Debbio, si può obiettare, è un volto televisivo. Ma di sicuro non è stato mediaticamente così sovraesposto. E stranamente un successo analogo l'ha avuto la serie di documentari su Silvio Berlusconi trasmessa, tanto per cambiare, da Netflix. Al centro il ricordo di un'epoca carica di vitalità e di idee, che con tutti i punti di forza e di debolezza che può avere, evidentemente parla ancora al presente.
Dopo di che si potrebbe anche dire che nel panorama di una editoria dove spesso anche libri spediti allo
Strega non toccano le mille copie, il can can dei teleschermi a qualcosa serva. Sarà, ma ci sono signorine che passando da wattpad arrivano sopra le 10mila copie senza spintine dalla politica. Detto senza giudizio di merito.
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