L’ideologia non conta La ricetta che funziona è del liberale Marchini

La contrapposizione destra-sinistra è il passato Nella generale convergenza al centro, nella Capitale le differenze però sono più nette. E l’imprenditore appoggiato da Fi è il miglior erede di Berlusconi

L’ideologia non conta La ricetta che funziona è del liberale Marchini

A d ogni elezione – ed è il caso anche delle amministrative di oggi - il nostro sistema politico rivela la progressiva tendenza a depolarizzarsi in favore di una sorta di convergenza al centro di partiti e candidati. Scompare, così, la contrapposizione che aveva caratterizzato l’Italia del secondo Dopoguerra dopo il 1948, quella fra una estrema sinistra, fondamentalmente antisistemica e filosovietica, e una destra altrettanto radicalmente ancorata a valori e principi occidentali o paraoccidentali (americani). Il risultato più evidente è che anche i candidati sindaco, a destra come a sinistra, tendono a rivelarsi ideologicamente e politicamente simili. E, che piaccia o no, la realtà è che i candidati sindaco di queste elezioni amministrative assomigliano tutti all’ultimo Silvio Berlusconi. A Milano due manager lontani dalle ali estreme, a Torino due gentiluomini anche se di opposte vedute. Perfino a Roma, dove a prima vista i contendenti sono lontani anni luce, non si ravvisa l’astio che ha caratterizzato l’ultimo ventennio di politica. Certo, nella Capitale le differenze esistono. Nelle formazioni politiche che sostengono i candidati (dai giacobini a Cinque stelle della Raggi al vetero Pci di Fassina, dal Pd romano già fallimentare di Giachetti alla destra populista diMeloni), ma ancor più nelle ricette amministrative. Ecco, se parliamo di idee e soluzioni c’è un candidato «più uguale degli altri»: Alfio Marchini, sostenuto proprio da Silvio Berlusconi, di cui incarna lo spirito liberale e imprenditoriale. Le ricette amministrative, dicevamo. La conversione al centro del Cavaliere e un’opposizione meno radicale alla sinistra hanno attenuato la contrapposizione ideologica e spostato la campagna elettorale proprio sui problemi da risolvere per migliorare le città. È, obbiettivamente, un fatto positivo che, forse, toglie colore e folklore alla competizione, ma che rivela contemporaneamente una maggiore maturità della nostra democrazia. Paradossalmente, l’Italia sembra seguire un percorso inverso rispetto agli Stati Uniti, dove le elezioni presidenziali ripropongono una forte polarizzazione fra il populismo di Donald Trump e l’ufficialità del candidato democratico Hillary Clinton. La verità è che la fine della Guerra fredda e la crisi del comunismo internazionale e nazionale hanno prodotto una trasformazione della nostra cultura politica, che ha finito col convergere al centro, abbandonando cinquant’anni di estremismi.

Le elezioni oggi non sono più, come allora, una «scelta di civiltà», fra l’idea di un mondo comunista e quella di un mondo democratico-liberale e sono diventate la formula attraverso la quale gli elettori manifestano le proprie preferenze in funzione dei problemi sul tappeto. Non resta che compiacersene.

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