L'Orso al film su Lampedusa aiutino politico a Frau Merkel

Polemica in Germania e Francia per il premio a "Fuocoammare" proprio mentre divampa l'allarme profughi: "Verdetto già scritto, calpestata la fiction"

L'Orso al film su Lampedusa aiutino politico a Frau Merkel

I festival sono la prosecuzione della politica via film, così non stupisce che alla 66esima Berlinale, appena terminata, abbia vinto Fuocoammare, documentario di Gianfranco Rosi sull'isola di Lampedusa approdo di massa dei migranti piombato sulla scena germanica dilaniata dalla polemica sui profughi, giusto in tempo per l'Orso d'Oro 2016. E per tirare la volata alla periclitante Frau Merkel, dicono ora i critici. C'è chi fa notare che il copione era già scritto: nelle interviste pre-festival, il direttore della manifestazione, Dieter Kosslick, non parlava d'altro e aveva fatto distribuire centinaia di biglietti per le proiezioni ai richiedenti asilo.Subito favorito dalla critica internazionale riunita sulla Potsdamer Platz, il docufilm di Rosi, ora in 47 sale con esiti modesti - 13esimo al box-office con 82.081 euro d'incasso - e distribuito dall'Istituto Luce con 01, interpreta alla perfezione lo spirito buonista che aleggia sulla severa crisi migratoria attraversata dall'Europa. Con Fuocoammare facce disperate, occhi sbarrati e un mare che porta la morte colpiscono sotto la cintura: come si fa a erigere muri, invece di ponti?

«Il film è da Oscar: voglio portarlo in America», ha detto Meryl Streep, presiedendo la giuria berlinese. Per non essere da meno, la Boldrini ha invitato Rosi a Montecitorio, Renzi ha colto la palla al balzo per evocare il Nobel a Lampedusa («ma non dico di più per scaramanzia») mentre un coro di lodi sperticate si è levato dalla stampa «mainstream», pronta a rivendicare i successi del cinema italiano. Ma ecco che qualcosa scricchiola e, arrotolato il tappeto rosso, Der Spiegel s'interroga: «Che cosa vuol dire, quando, su 16 film in concorso, vince un documentario e i fatti hanno la meglio sulla fiction? Non è scortese equiparare le mele del cinema con le pere del documentario?». Sullo Spiegel Online, invece, l'editorialista George Diez provoca: «La questione è: la società tedesca sta cambiando? Quanto è aperta? Quanto è cosmopolita?». Dopo i fatti di Colonia, i nervi restano scoperti anche nel mondo del cinema tedesco, altrettanto diviso sulle migrazioni, e l'Orso a Rosi non è un balsamo. In passerella, al FilmFest, è andato pure «Hedi», del tunisino Mohammed Ben Attia, a raccontare la primavera araba.

Come narravano di problemi attuali i film francesi L'Avenir, di Mia Hansen-Love e Quand on a 17 ans di André Téchiné, sull'amore omosessuale, mentre 24 Wochen, unico contributo tedesco in concorso, focalizzava i dilemmi d'una donna che vuole abortire un figlio deforme. L'Orso, però, è andato a Fuocoammare, che per la rivista francese di tendenza Les Inrockuptibles, «incarna perfettamente un'edizione che il direttore Dieter Kosslick ha voluto molto politica, in vista dell'impatto che ha sull'Europa la crisi migratoria. Rosi è un campione dei festival, poiché ha vinto il Leone d'Oro a Venezia con Sacro GRA. Quando farà il selezionatore della squadra azzurra?», sfotticchia Les Inrocks. Non a caso, quando Rosi ha alzato l'Orso d'oro al Berlinale Palast, era presente il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier. La cosa non è sfuggita al New York Times, che all'influenza di Fuocoammare ha dedicato un lungo articolo sull'identità tedesca, turbata dal docufilm.

«Abbiamo speso miliardi per educare i nostri bambini, insegnando loro che cosa è avvenuto con l'Olocausto. Noi tedeschi siamo 90 milioni. Che sarà mai un milione di siriani?», rifletteva Dieter Kosslick. La risposta per molti tedeschi non è così ovvia.

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