Lacrimogeni sulla folla, spari e feriti "L'aeroporto è come la fine del mondo"

Emergency: in 10mila davanti allo scalo. La Nato: "Serve un corridoio". Sos Unhcr: "Gli afghani non possono lasciare il Paese regolarmente"

Lacrimogeni sulla folla, spari e feriti "L'aeroporto è come la fine del mondo"

Resta tesa la situazione all'aeroporto di Kabul, assediato da una turba di persone che vorrebbe lasciare l'Afghanistan. Un caos che rende difficile l'evacuazione degli stranieri che lavoravano nel Paese, e che spesso non riescono ad accedere allo scalo.

Le immagini dell'assalto dei disperati le vediamo sui Tg da giorni, assieme a quelle sconvolgenti dei bambini passati di mano in mano perché i soldati di guardia li prendano in consegna dall'altra parte del muro di cinta. Secondo Emergency ci sarebbero almeno 10mila persone che bivaccano da giorni davanti allo scalo in attesa di un'opportunità di partire. Ieri secondo il Wall Street Journal alcuni militari di incerta nazionalità avrebbero sparato gas lacrimogeni per disperdere la folla. E più di qualcuno è ferito dai colpi o calpestato dalla calca. «Continuiamo a sentire - racconta Alberto Zanin, coordinatore medico di Emergency a Kabul - raffiche di armi di notte e di giorno. Nella giornata di giovedì abbiamo ricevuto ancora cinque persone provenienti dall'aeroporto con ferite di arma da fuoco. Al momento, è l'unico luogo della città dove la situazione ci risulta ancora tesa. È difficile capire cosa stia accadendo, perché chi arriva da lì soffre di un severo stress post traumatico e non parla dell'accaduto». Ieri, come riferito da un portavoce del governo di Berlino, un civile tedesco è rimasto ferito da colpi di arma da fuoco mentre si stava dirigendo allo scalo di per prendere un volo. L'uomo sta ricevendo cure mediche, non è in pericolo di vita e presto potrà lasciare l'Afghanistan.

Un video sul sito dell'Ansa testimonia di una situazione terribile: «Sembra la fine del mondo», commenta un ex collaboratore dell'Ue a Kabul che descrive la folla che aumenta di giorno in giorno, i bambini che piangono, le persone che dormono per molte notti davanti ai cancelli chiusi, gli spari, l'assedio a Camp Sullivan, la base Usa dove qualcuno spera di entrare per essere po trasferito nello scalo vero e proprio in elicottero. Sogni impossibili, che rendono l'aeroporto «il punto più pericoloso di Kabul».

Nel frattempo i governi occidentali si affannano per consentire ai propri connazionali e collaboratori di lasciare l'Afghanistan. Giovedì sono stati 16 i voli Usa che sono decollati, con circa 3mila persone evacuate tra cui anche molti afghani considerati vulnerabili. Da quando Kabul è caduta nelle mani dei talebani il governo di Washington stima di aver fatto uscire dal Paese 9mila persone. «Ci aspettiamo - dice Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato - che i talebani garantiscano un corridoio sicuro per i cittadini stranieri e afghani che cercano di lasciare il Paese». Molti governi - quello spagnolo, quello romeno, quello polacco - lamentano di non riuscire a far partire i propri concittadini. E infatti molti aerei decollano semivuoti.

L'Unhcr, l'Alto commissariato Onu per i rifugiati, in una nota lamenta che «la stragrande maggioranza degli afghani non è nelle condizioni di poter lasciare il Paese attraverso canali regolari. Le immagini della folla all'aeroporto, riprese pochi giorni fa, hanno scioccato il mondo, comunicando poderosamente i sentimenti di paura e incertezza che regnano tra molti afgani».

Allargando lo sguardo, l'Unhcr invoca un «maggiore sostegno alla risposta umanitaria in corso all'interno dell'Afghanistan stesso affinché si possa prestare assistenza al popolo afgano».

Il commissariato accoglie con favore «gli sforzi da parte di numerosi Stati per assicurare protezione ai cittadini afghani a rischio mediante programmi di evacuazione bilaterali», anche se «tali programmi non dovrebbero far passare in secondo piano o sostituire una più ampia risposta umanitaria internazionale urgente». L'Unhcr si dice preoccupata per il rischio di violazioni di diritti umani ai danni dei civili, comprese donne e bambine. A oggi, le persone in pericolo non dispongono di una via di uscita sicura».

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