L'aggressività di Teheran spezza i nervi dei sunniti E Trump non ha un'idea

L'aggressività di Teheran spezza i nervi dei sunniti E Trump non ha un'idea

Oggi a Parigi il primo ministro dimissionario del Libano Saad Hariri incontrerà Macron. Macron ha estratto (intervenendo personalmente) Hariri da Riad, dove dal 3 novembre risiedeva in un esilio dichiarato volontario insieme alla famiglia. Ora afferma che dopo un giro per i Paesi arabi tornerà a Beirut a dimettersi di persona. Hariri, sunnita figlio di Rafik Hariri, anche lui primo ministro quando fu assassinato con un immane attentato probabilmente dagli Hezbollah, spiegò alla tv saudita che era stato deciso che era venuto il suo turno. E accusò direttamente l'Iran del caos sanguinoso e della sua tela di ragno sulla sovranità libanese. Erano parole preparate con i sauditi? Probabilmente, ma comunque erano vere.

Subito la reazione del Libano, Paese piagato dallo scontro sciiti-sunniti, ha dimostrato che l'abbandono di Hariri poteva essere l'inizio di un caos contagioso, e il coro di richieste di tornare si è fatto assordante, insieme all'accusa di aver rapito il primo ministro. Certo le dimissioni portano il segno dell'attivismo diplomatico della famiglia regnante: dice che l'imperialismo iraniano di recente conio ha spezzato i nervi sunniti. Gli arabi non lo possono sopportare dai persiani, nemici storici. Hariri fonda, volente o meno, una svolta saudita pansunnita (nel Paese in cui per altro ha grandi business edilizi) e la Francia stessa ha qui dovuto interessarsi alla causa sunnita di Hariri e dei sauditi, pena il caos. Sempre il 3 novembre un missile balistico di fabbricazione iraniana è stato sparato contro l'aeroporto Re Khalid.

C'è una vera guerra in corso, e l'Arabia Saudita compie passi decisi: un'altra mossa è l'intervista uscita su un giornale saudita (non israeliano, quindi fuori dall'abitudine di vantare buoni rapporti con gli arabi) a Gabi Eisenkot, capo di Stato maggiore dello Stato d'Israele. Eisenkot spiega di «essere pronti a condividere esperienze con l'Arabia Saudita e altri Paesi arabi moderati e informazioni di intelligence per fronteggiare l'Iran». E aggiunge che «sotto la presidenza Trump c'è la possibilità di formare una nuova alleanza nella regione... un piano strategico per fermare la minaccia iraniana».

Insomma, la conclusione di questa fase della guerra siriana dei 6 anni, che lascia l'Iran con gli Hezbollah in posizione di forza senza precedenti, sul confine di Israele, con le gambe saldamente piantate in Siria, Libano, Iraq, Yemen... crea una situazione esplosiva per cui i Sauditi sentono di doversi dare un daffare senza precedenti. Sullo sfondo dell'intervista si intravede il piano di pace saudita, che Trump vorrebbe caldeggiare: l'atteggiamento benevolo di Eisenkot fa intuire che se ne parla. Ma martedì il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha dichiarato che la presenza iraniana in Siria è legittima, aggiungendo che la Russia non ha mai promesso agli Usa che le forze iraniane o loro alleate lascino la Siria.

Ciò che ha scosso i sauditi e anche Israele è che l'amministrazione americana non ha espresso nessun parere. L'impressione in casa saudita è quindi che quei tappeti rossi su cui Trump ha camminato nella sua visita in maggio siano stati consumati invano.

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