«Sui referendum non si possono accettare diktat, neanche dai segretari di partito». La sfida alla linea equilibrista (un colpo al cerchio grillino, un colpo alla botte renziana) del segretario Pd Enrico Letta la lancia l'ex capogruppo Andrea Marcucci.
Il «niet» lettiano ai quesiti su carcerazione preventiva e legge Severino (analogo a quello pronunciato sia da Meloni che da Conte) lascia uno strascico di malumori nell'ala dem più garantista, e in quel «partito dei sindaci» che da mesi preme per superare le tagliole contro la democrazia rappresentativa della legge che ghigliottina i primi cittadini sfiorati da inchieste per lo più destinate al fallimento. «La legge Severino va cambiata, lo chiedono i sindaci di tutti i partiti», dice il barese De Caro. Il Nazareno cerca di tenerli buoni assicurando che c'è già una proposta di modifica in Parlamento e che su quella ci si impegnerà pancia a terra. Ma visti i risultati di simili promesse di indefesso attivismo parlamentare (modello ddl Zan, per fare un esempio) i dubbi sono leciti: se le Camere, come di consueto, non caveranno un ragno dal buco, «è bene che la parola passi ai cittadini», sottolinea il sindaco di Bergamo Giorgio Gori.
Letta però non ha alcuna intenzione di avallare un pacchetto referendario che non solo spiace a pm e 5S, ma che - se passasse - assegnerebbe una vittoria all'avversario Matteo Salvini che se ne è fatto promotore. Quindi le energie del Pd sono concentrate sul tentativo di far naufragare nell'astensionismo i quesiti che non verranno superati dalle riforme del ministro Cartabia. Operazione resa più agevole dalla selezione chirurgica operata dalla Consulta, che ha tolto di mezzo i referendum più mobilitanti (eutanasia, cannabis e responsabilità dei magistrati), e dal calendario: non a caso i dem sono tra coloro che premono sul Viminale perché il voto venga appaiato ai ballottaggi, quando l'affluenza si dimezza, scongiurando così ogni effetto trascinamento delle Amministrative.
Il leader dem è stato abile nel lanciare ai garantisti del suo partito il contentino del voto sul caso Open, martedì in Senato. Un voto inevitabile, visto il forte pressing nel gruppo al Senato e il crollo - per mano della Cassazione - dei presupposti stessi dell'indagine contro Matteo Renzi, ma che ha invertito la linea forcaiola precedentemente seguita ed è servito a Letta a lanciare una captatio benevolentiae verso il leader di Italia viva, alleato prezioso in vista delle prossime scadenze elettorali. E che ha fornito al Nazareno l'occasione per dimostrarsi - occasionalmente - autonomo dalla linea giustizialista dei grillini (e, a rimorchio, di Leu).
Resta lo scontento di chi, come Marcucci, vorrebbe che il Pd si assestasse sul «sì» ai referendum e su una linea stabilmente garantista. Ma alla vigilia delle amministrative, e con il rischio di fallimento referendario grazie all'astensionismo, la fronda interna ha scarsi margini di manovra.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.