«Non conta chi vota, conta chi conta i voti». La massima di Josip Stalin ci restituisce la fragilità della nostra democrazia, stando al desolante quadro che emerge dalle indagini sui brogli a Reggio Calabria. Al di là dell'ipotesi dello scambio affaristico-mafioso che aleggia sul sindaco Pd Giuseppe Falcomatà e su due consiglieri, l'inchiesta ricostruisce due distinte modalità di brogli con il solito zampino della 'ndrangheta. C'è il politico che si fa votare «conto terzi» da persone identificate «per conoscenza personale». Così, sulla parola. C'è invece il rampollo di 'ndrangheta che consegna fino a 30 schede prevotate alla scrutatrice complice, che trascrive a registro documento d'identità e numero di scheda «di soggetti talora del tutto ignari di tali operazioni», si legge nel provvedimento. Il tutto davanti ai Ros, che la intercettava in tempo reale. «Presto arriverà un certificato digital, si voterà con un pin via sms», dice al question time Paolo Emilio Russo (Fi).
Ci sono le schede già votate consegnate fuori dai seggi in cambio della scheda bianca regolarmente ricevuta e 50 o 100 euro, meccanismo più difficile da realizzare quando sono tracciate. «Metodi non troppo sofisticati - ci racconta un ex dirigente Dc - possibili solo in certi contesti». A Milano scegliersi commissari compiacenti è complesso ma è anche vero che i compensi di presidenti e scrutatori sono ridicoli per carico di lavoro e responsabilità, e questo attira interessi criminali.
«L'incidenza dei brogli dipende molto dalla modalità di voto. Alle Europee con collegi da milioni di voti, decine di liste, tre preferenze e migliaia di seggi condizionare il voto è impossibile. Alle Politiche i controlli sono più stringenti», ma questo non ha impedito i brogli nel voto all'Estero, sia nella consegna dei plichi sia durante lo spoglio. «Certo - insiste la fonte - Alle Comunali, quando si votavano quattro preferenze con i numeri, anche 10 voti potevano fare la differenza, anche in chiave ballottaggi. Dove l'elezione dipende anche dalla coalizione che vince», ci spiega la fonte. In effetti, l'accusa dei pm è che Falcomatà si sia mosso al ballottaggio accettando l'appoggio di un dirigente Pd genero del boss di 'ndrangheta: «Mi devi dare una grossa, grossa mano», gli disse, intercettato. Dalla vittoria dipese anche l'elezione del Pd Giuseppe Sera (parente alla lontana ma del tutto estraneo a Marco Minniti). Poi c'è il problema delle trascrizioni dei voti. L'errore sul file Excel è possibile, lo dimostra anche il pasticcio di Roma: l'ex Avvenire Marco Tarquinio ha sorpassato Alessia Morani di 4mila voti dopo averla inseguita.
Di brogli si parla sin dagli anni Sessanta. «Avvengono durante lo spoglio, deve avvenire una scheda alla volta, le bianche vanno annullate con timbro e firma», ci spiega la fonte. In passato si favoleggia che le bianche sarebbero state suddivise stile Cencelli tra i rappresentanti di lista, ma non è mai stato dimostrato. Nel 2006 invece la vittoria risicata di Romano Prodi per poche migliaia di voti venne sporcata dall'ombra della «tratta delle bianche». Erano seicentomila del 1948, (il 2,3% dei votanti), salirono fino al 12% nel 2001 poi crollarono del 74,2%, passando da 1,7 milioni a 440mila, con una media sospetta, sempre compresa tra l'1% e il 2%, da Bolzano a Caltanissetta. Come se si fossero trasformate in voti contro il centrodestra. Secondo un sondaggio Ekma del 26 novembre 2006 un italiano su due ne era più che convinto, tesi opposta quella sostenuta dal Il Broglio (Aliberti Editore) scritto da giornalisti anonimi.
L'ex Pci Claudio Velardi spiegò su L'anno che doveva cambiare l'Italia la scuola di Botteghe Oscure: «Nel 1972 l'anziano militante Rubino della sezione 1° maggio, mi avviò al master mettendomi uno spezzone di matita tra il medio e l'anulare. Lo avrei utilizzato alla prima scheda bianca intercettata». Amen.
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