Novembre 2021. Precisamente un anno fa. Il ministro dell'Interno dichiarava: «Sui rave party serve un intervento normativo per rafforzare il sistema di prevenzione e contrasto». E chi sedeva allora al Viminale? Un pericoloso ministro law and order? Non esattamente, la trasversalissima Luciana Lamorgese. E, tra gli altri, chi sosteneva il governo Draghi? Il Pd. Che strano però: ripercorrendo le agenzie stampa del tempo e rileggendo i giornali italiani del periodo non si trova neanche una critica alle intenzioni della Lamorgese. Nessuno faceva suonare le sirene democratiche per l'imminente ritorno del fascismo, nessuno denunciava un vergognoso oltraggio alla Costituzione e non si segnalava alcuna manganellata alle libertà personali. Silenzio assoluto, assordante come le casse dei teknival.
Eppure quello che diceva e chiedeva il capo del Viminale era praticamente quello che è contenuto nel decreto emanato nel primo Cdm del governo Meloni.
Non ci credete? «Il ministero dell'Interno sta lavorando ad un'ipotesi di fattispecie criminosa che consenta di disporre la confisca obbligatoria dei veicoli e degli strumenti necessari per l'organizzazione dell'intrattenimento e che preveda l'obbligo del ripristino dei luoghi», annunciava il 7 novembre scorso la Lamorgese in una intervista al Messaggero. Erano passati pochi mesi dal rave dell'illegalità di Viterbo quello, per intenderci, dove diverse migliaia di persone si riversarono in un terreno - occupandolo per sei giorni -, devastando tutto e ballando tra alcol, droghe leggere e pesanti. Mentre la ministra non muoveva neppure un dito per impedirglielo. Evidentemente, almeno a giudicare dalle sue dichiarazioni del 2021, perché non c'era uno strumento giuridico adeguato. O più probabilmente per dissimulare con una richiesta di intervento restrittivo la volontà di lasciare tutto così. «Sul piano preventivo, potremmo introdurre la possibilità di ricorrere ad altri strumenti investigativi, come già avviene per diversi reati di particolare gravità. Tutto questo per allinearci alla legislazione degli altri Paesi europei, nei quali, evidentemente, oggi gli organizzatori dei rave party rischiano molto di più. Su queste ipotesi ci sarà un confronto con il ministero della Giustizia», sembrano parole di Piantedosi, invece sono sempre quelle dell'ex titolare del Viminale durante il governo Draghi. Insomma, l'intento era quello di uniformarsi a Paesi come la Spagna (dove sono previste multe salatissime per chi organizza free-party clandestini), come la Gran Bretagna (dove è previsto il sequestro delle attrezzature e dove è vietato riunirsi senza autorizzazione) e la Francia (dove anche qui è previsto il sequestro degli impianti e ci sono conseguenze penali in caso di violazioni). Chissà perché però a sinistra non si sentì volare una mosca. Regnava la narcolessia? Difficile non aver compreso l'intento della ministra, anche perché poi entrava direttamente nel dettaglio: «Sono consapevole del senso di preoccupazione che questo fenomeno determina nell'opinione pubblica, sia per i comportamenti illegali connessi all'abuso di sostanze alcoliche e stupefacenti, sia per i riflessi sulla possibile diffusione dei contagi».
E sulle misure da mettere in atto, il Viminale e il ministero della Giustizia si misero al lavoro su una legge ad hoc che consentisse di introdurre un nuovo reato imputabile agli organizzatori dei teknival clandestini, molto più pesante rispetto a quello contestato all'epoca in Italia, cioè l'invasione dei terreni e di edifici o l'occupazione abusiva.
Tra le modalità di azione valutate dal Viminale c'erano strumenti come le intercettazioni telefoniche
o telematiche, o addirittura l'utilizzo di agenti sotto copertura. Insomma, se possibile, un provvedimento fotocopia di quello che ha messo sul tavolo Piantedosi. Con la differenza che, allora, da sinistra nessuno fiatò.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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