Four more years: un congresso Cgil così scontato che - per far parlare di sè - ha dovuto chiedere aiuto a Giorgia Meloni (ottenendolo), finisce come era scontato che finisse. Ossia con la riconferma, per altri quattro anni, del segretario Maurizio Landini.
Riconferma pressoché automatica e con una maggioranza nordcoreana del 95%, anche perché l'organigramma Cgil è totalmente landinizzato, il dibattito interno è pressoché sterilizzato, e non esistono contrapposizioni politiche aperte o potenziali leadership alternative: lo si è visto appunto dalle proteste anti-Meloni, inscenate da una mini-fronda di quattro sparuti gatti coi peluche. Puro folklore.
Con l'invito alla premier perché intervenisse Landini ha ottenuto ciò cui ambiva: visibilità, telecamere, pagine di giornale e -soprattutto - un riconoscimento da parte del governo del suo personale ruolo come interlocutore politico, che il sindacato in quanto tale - sotto la sua leadership - non riesce più a guadagnarsi facendo il proprio mestiere di rappresentante dei lavoratori. Per ottenere questo ambito riconoscimento, però, Landini ha concesso molto di più: invitando la Meloni con tutti gli onori (prima premier dopo Spadolini, Craxi e Prodi) ha in pratica sdoganato, col timbro della Cgil, il primo governo guidato dalla destra. Rendendo così enormemente più difficile alle opposizioni di sinistra, d'ora in poi, delegittimare l'esecutivo Meloni in nome dell'antifascismo. Uno sdoganamento che la premier ha ben volentieri incassato, offrendo in cambio una apertura - per ora di maniera - al dialogo sociale e al «gioco di squadra» per il paese, al netto di «distanze innegabili».
È anche per bilanciare, almeno nell'immagine, questa concessione che ieri, nel suo discorso di chiusura, Landini ha fatto la faccia feroce sulla delega fiscale («La madre di tutte le battaglie», aveva tuonato) minacciando anche lo sciopero generale: «Siamo in presenza di una diversità molto profonda e consistente», sottolinea. «C'è un punto fondamentale: il 94% dell'Irpef la pagano i lavoratori dipendenti e i pensionati: noi non siamo più disponibili ad accettare l'idea di un sistema fiscale che continua a gravare unicamente su dipendenti e pensionati». Su questo «dobbiamo avviare una mobilitazione con tutti gli strumenti che abbiamo, compreso lo sciopero», e annuncia breve un incontro con Cisl e Uil per valutare il da farsi. Ma lo sciopero, se mai ci sarà, sarà un atto più simbolico che di sostanza: la delega fiscale è ancora tutta da scrivere, e a Landini sta più a cuore il riconoscimento del suo ruolo di interlocutore del governo che il merito delle singole questioni: «Non si può fare senza di noi, perché rappresentiamo la maggioranza dei lavoratori», dice. E la premier su questo lo ha accontentato, assicurando la propria disponibilità a discutere con sindacati e parti sociali.
A cominciare dalla questione salariale (i due sono accomunati dalla diffidenza verso il salario minimo legale, bandiera delle opposizioni di centrosinistra: meglio rafforzare la contrattazione collettiva, dice Meloni), la riduzione del cuneo fiscale, l'innalzamento delle pensioni più basse, il sostegno al lavoro femminile. «Questo Paese lo vogliamo cambiare più del governo e più delle forze politiche e non ci fermeremo», giura Landini. Per ora, comunque, si accontenta di un posto al tavolo della Meloni. Per far cosa, si vedrà.
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