L'Australia lancia l'allarme spionaggio. «È più intenso oggi che negli anni della Guerra Fredda», ha detto in Parlamento a Canberra il numero uno dei servizi segreti australiani, ma il vero protagonista di questo preoccupante attivismo contro i cittadini e gli interessi nazionali non è più come un tempo Mosca: oggi è la Cina di Xi Jinping. Bersaglio preferito sono i politici, attraverso lo spionaggio e la corruzione, con donazioni e investimenti generosi ma interessati: l'obiettivo finale è arrivare a condizionare il processo decisionale del Paese. Metodi usati anche con i media e le università australiani. Ci sono poi intimidazioni e minacce sugli studenti di Hong Kong in Australia e contro gli esuli di etnia uigura, oggetto di persecuzioni feroci in patria.
Mentre continua in tutto il mondo la battaglia per la nuova rete 5G che vede sospetto protagonista il colosso cinese Huawei (ieri la Svezia ha deciso di estrometterlo dalle gare), ci sono diverse ragioni per cui un Paese così remoto come l'Australia si trova al centro delle indesiderate interferenze del regime comunista di Pechino. Una è certamente la sua appartenenza alla cosiddetta Five Eyes Alliance, la «Alleanza dei cinque occhi» per la condivisione dell'intelligence che riunisce lo zoccolo più duro dello schieramento occidentale: Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Nuova Zelanda e appunto Australia. Logico che Pechino cerchi di penetrare i preziosi segreti americani anche passando dall'Oceania. Un'altra ragione è di natura geostrategica: sia pure con qualche distinguo, Canberra fa parte di uno schieramento internazionale che reagisce alla minaccia dell'espansionismo cinese nel sud e sud-est asiatico creando d'intesa con gli Stati Uniti una sorta di barriera anche militare che va dall'India al Giappone, passando da Singapore, Vietnam, Filippine e Taiwan.
Va infine ricordato che la Cina è sempre più impegnata a conquistare posizioni strategiche nel Pacifico, un'area dove vastissime porzioni di oceano sono nelle mani di Repubbliche minuscole che tradizionalmente hanno buoni rapporti col gigante australiano. È questa una regione dove Pechino gioca anche una partita spietata contro Taiwan, che qui può contare sull'amicizia di alcuni dei pochissimi Paesi al mondo che ancora scelgono di mantenere relazioni diplomatiche con Taipei invece che con il colosso rosso cinese. La Cina usa armi diverse per portare dalla propria parte Paesi come Kiribati o le Isole Salomone, inducendole a espellere i diplomatici taiwanesi per far posto ai propri: di solito offre a questi Stati molto poveri cospicui finanziamenti in cambio di contratti per la pesca oceanica e dell'installazione di strutture che possono essere convertite a uso militare. Ma in alcuni casi lo ha fatto senza successo con la piccola Repubblica di Palau cerca anche di ricattarli economicamente, vietando ai cittadini cinesi di recarsi per turismo nei Paesi di cui intende prendere il controllo. Così chiude il principale rubinetto di valuta estera per Paesi altrimenti costretti a sopravvivere vendendo pesce e noci di cocco. Lo stile sfoggiato dai cinesi in Oceania è spesso brutalmente colonialistico.
A Kiribati, pochi mesi fa, l'arrivo dell'ambasciatore cinese è stato salutato con una cerimonia che avrebbe fatto gridare allo scandalo se fosse stata tenuta per un rappresentante occidentale: il diplomatico ha camminato sui corpi di decine di persone prostrate a terra in segno di sottomissione fino all'ingresso in ambasciata.
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